Nun sputà n’ciel ca n’facc te torna

CopertinaIntera2

[ LINK ]

In questo giorno che apre il mese tradizionalmente dedicato a Maria SS., nel quale ricordiamo pure sotto il profilo di artigiano e lavoratore il suo castissimo sposo e padre putativo di N.S., spendo un po’ di tempo scrivendo qualche rigo in segno di ringraziamento all’editore Il Giglio, per il pensiero gentile che ha avuto al mio riguardo, volendo recensire brevemente “San Filippo a Napoli” nel proprio sito. Vorrei parlare in modo franco e scorrevole [almeno in un blog].
Dall’uscita del libro ad aprile dell’anno scorso ho tenuto una presentazione all’Oratorio di Genova e una nella mia città di Cagliari, ricevendo fino ad oggi soltanto complimenti di amici e conoscenti, oltre all’apprezzamento del prof. Emilio Biagini (per ventiquattro anni docente ordinario di geografia all’Università di Cagliari) che ha voluto omaggiarmi una sua recensione. Finalmente ricevo pure l’attestazione che il mio libro abbia raggiunto i suoi propri lettori cui è destinato, dato che viene attenzionato dall’editore di Napoli Il Giglio. La loro sintesi richiama i nomi dei personaggi principali e il contenuto essenziale della storia narrata, integrando infine il napoletano Giovanbattista Vico e cenni sulle soppressioni. Riguardo a Vico io personalmente non ho fatto alcuna menzione, in quanto personalità di spessore tale da richiedere attenzione propria. Rispetto invece alle conseguenze delle leggi eversive che si trascinano per tutta la storia contemporanea, a più riprese ho messo a fuoco il problema; oltre a fare chiarezza sulle vicende più recenti… È una realtà comune a tutti i religiosi custodi di chiese monumentali, tenute aperte e pulite a proprie spese. Oggigiorno dato che il Fec nelle sue chiese non vuole mandare architetti e ingegneri, fa bene a mandare i fotografi a fare incetta di immagini, perché presto o tardi non ci sarà più niente da vedere.
L’editore particolarmente concentrato sulla storia moderna e partenopea, la sa più lunga di me. Io vorrei solo testimoniare di abitare a pochi passi da piazza San Domenico, ove si trova il museo di Storia Patria, con uno spazio espositivo che conserva armi, ritratti, divise e tanti cimeli relativi ai garibaldini. In Palermo a Ballarò si trova pure il Palazzo del Conte Federico che io ho visitato due volte, accompagnato dal proprietario, diretto discendente del conte intestatario (suo bisnonno). Il palazzo nel corso della sua storia svolse la funzione di tempio massonico, con ancora parecchi simboli disseminati tra le stanze. È attestato storicamente che proprio lì ricevette il “grado 33” della massoneria Giuseppe Garibaldi, alloggiando un paio di notti durante l’impresa dei mille. Il patriota che vanta un monumento in ogni capoluogo d’Italia, veniva insignito del massimo grado di “ispettore generale della massoneria” proprio all’inizio dell’impresa dei mille. Il “signor Federico” nella sua visita guidata illustrava a chiare lettere la verità sul confronto tra 1.087 volontari mal equipaggiati e sprovvisti di artiglieria, contro l’esercito borbonico di 120.000 uomini (più flotta navale): la corruzione in denaro dei generali che fecero suonare la ritirata nella battaglia di Calatafimi e tutte le successive volte lungo il tragitto verso Messina e dopo. La verità storica è allora che le vittorie del prode “eroe dei due mondi” furono riscosse con fragorose bustarelle. Tale verità storica, completamente assente dalla totalità dei testi scolastici, a me pare non venga presentata genuinamente nel discorso storico istituzionale. L’attualità delle vicende risorgimentali, principio dello stato unitario e democratico italiano, si nota anche da tutto ciò che abbiamo sentito dire al televisore lo scorso sabato 25 aprile.

Napoli è una città talmente ricca di arte che, prendendo in prestito parole di Silvana De Mari, non basta una vita per vederla tutta, ce ne vogliono tre. Al monumento nazionale dei girolamini attualmente è in corso l’imponente cantiere di restauro, finanziato da varie fonti, per riparare il tracollo pluridecennale. Il ministro Franceschini – che secondo me nel chiostro dei girolamini si meriterebbe un monumento equestre -, intervistato a Rai2 durante questa quarantena, diceva che in Italia il turismo (culturale-religioso-balneare…) col suo indotto fa il 15% del PIL. Un’affermazione quanto mai interessante per la politica economica che valorizza il settore primario e secondario, considerando centri di costo improduttivi i beni culturali. Tuttavia io vorrei fare un’osservazione al chiarissimo ministro, richiamando il discorso tenuto presso l’università del Kansas il 18 marzo 1968 da Robert Kennedy, tre mesi prima di essere ucciso durante la campagna elettorale. Un discorso nel quale evidenziava l’inadeguatezza del PIL come indicatore del benessere delle nazioni economicamente sviluppate, anticipando in tal modo di decadi gli indici dell’ONU.

Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni.
Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, nè i successi del paese sulla base del Prodotto Interno Lordo.
Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.
Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.
Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi.
Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.

Il mondo sa essere l’Italia il Paese col maggior patrimonio culturale. L’attuale problema dell’Italia è uno solo: non ci crede. Non siamo convinti che la bellezza salverà il mondo, tanto meno che la cultura sia utile; così non disgusta più l’abbruttimento causato dall’ignoranza. Gli italiani ci tengono più di tutti a mangiare sano, negli ultimi tempi pare tengano anche allo sport (superati i dati record dell’obesità infantile). La bellezza estetica (rappresentata dal patrimonio artistico) sfruttata come risorsa economica, si ferma al livello più superficiale di attrazione esteriore (dei turisti disposti a pagare per andare a vederla). È uno sguardo che non coglie l’autentico valore delle risorse culturali e le lascia infruttuose, inespresse. Guardando oltre il PIL della nazione, quella bellezza sfruttata appieno mette in atto l’intelligenze ed eleva la cultura del popolo. Tanti italiani si sono chiesti che senso avesse la riapertura anzitutto delle librerie durante la quarantena in corso, perché solo pochi sanno che in meno di quattro anni in Italia hanno chiuso i battenti 2.300 librerie; soltanto all’uopo si accorgeranno di acquistare su internet con lo sconto massimo del 5%. Dati che tocchiamo con mano per esempio quando in chiesa non sono interessati al mio libro (scontato del 20-25%) neanche fedeli, amici e conoscenti…

San Filippo Neri – che cito in esergo al libro – diceva che bisogna «desiderare fare cose grandi per servizio di Dio e non contentarsi di una bontà mediocre». Tuttavia lui per primo rifiutò e non volle saperne niente dei progetti grandiosi che la cittadinanza prospettava per l’Oratorio di Napoli; l’unica preoccupazione del Santo era curare al meglio possibile la realtà nella quale si trovava, ovvero fare la volontà di Dio hic et nunc. Sul suo esempio noi altri dobbiamo collaborare né più né meno all’opera di Dio che tutto dispone secondo i suoi disegni, tenendo presente che “se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori” (Sal 126,1).
Sapete, io spero proprio di sbagliarmi – e mi dispiace dirlo -, ma temo davvero che se oggi facessero una ricognizione alle spoglie mortali del S.P. Filippo Neri, lo troverebbero come si suol dire “rivoltato nella tomba”. Le case storiche che tanto lo hanno compiaciuto e fatto penare, oggi sull’orlo del baratro, i fantasmi che aleggiano per il monumento nazionale dei girolamini, divisioni e contrarietà ieri come oggi, tutto ciò che noi viviamo sulla nostra pelle, lui lo vede da lassù. E quando crediamo di aver toccato il fondo, il Signore permette cadiamo ancora più in basso, perché la teologia del fallimento dimostri come Lui possa sempre salvarci; “Mi hai fatto provare molte angosce e sventure: mi darai ancora vita, mi farai risalire dagli abissi della terra” (Sal 70,20).

Io per pubblicare il mio studio di storia sui girolamini ho dovuto sborsare all’editore mie sostanze personali. Pertanto ho espresso riconoscenza davvero sentita a padri e laici che hanno voluto contribuire, interessandosi all’acquisto del libro. Nondimeno occupano un proprio posto nel mio cuore anche quanti hanno scelto di non acquistare il mio libro, dimostrandomi così la loro stima e affetto. All’editore Il Giglio che di sua iniziativa ha considerato degno di nota il libro, va allora il mio grazie, con la speranza che la lettura possa portare buoni frutti.

Scheda

Nun sputà n’ciel ca n’facc te tornaultima modifica: 2020-05-01T15:05:13+02:00da sedda-co
Reposta per primo quest’articolo