Wonderful things

Il direttore del dipartimento cui appartiene il Fec, il mese scorso ha usato delle parole piuttosto toccanti per chi ogni giorno a proprie spese tiene aperti, puliti e presentabili «l’arredo sacro che spesso caratterizza le nostre chiese e che in relazione all’incameramento dei beni, il Fec (Fondo edifici culto) è proprietario». La mattina del 10 dicembre si è tenuta la presentazione del 15° calendario, realizzato per il 2020 con le foto scattate a paramenti liturgici, paliotti e lavori tessili di sartoria sacra in genere. Il mese prima (mercoledì 20 novembre) avevamo ricevuto in chiesa un fotografo incaricato dalla direzione centrale del Fec, per la raccolta di immagini finalizzate alla realizzazione di un’iniziativa editoriale dedicata alle “Meraviglie del Fec a Palermo”. Ci complimentammo ritenendo che simili pubblicazioni denotino gusto del bello, espressione di sensibilità artistica, notevole segno di interesse sul piano culturale. Pare infatti questa la strategia scelta dal Fec per procacciare fondi da terzi: «Illustrare, manifestare, prendere cognizione di questo enorme patrimonio culturale di cui il ministero dell’Interno si vanta di avere. Oltre 800 chiese, dipinti, paramenti liturgici, suppellettili, cioè tutto ciò che riguarda un arco di tempo di secoli, racchiuso in biblioteca e nelle chiese di tutta Italia». Questa è una finalità esplicita nel loro sito internet istituzionale, che si vede praticata anche dall’altro dicastero con Art bonus, attualmente pubblicizzata dalla Rai. «È iniziato un percorso di collaborazione con la Rai per la realizzazione in primavera di un grande progetto culturale … Davvero desidero ringraziare il direttore di Rai Cultura e il responsabile di Rai Storia». Le parole del direttore di dipartimento ci fanno vibrare le corde del cuore per le fatiche e le spese che sosteniamo per aprire ogni giorno, passare la cera e lucidare il pavimento, spolverare, spazzare dentro e fuori, pulire le grondaie, estirpare erbacce… I religiosi che hanno in custodia il luogo di proprietà pubblica, curano l’ordinaria manutenzione che implica pure mantenere decorosamente pulito il luogo di culto, spazzando stucchi e intonaci polverizzati per terra. Non solo, corrono pure sui tetti dopo ogni temporale per accertarsi che sia ancora tutto in piedi e per tenere sott’occhio il livello di inesorabile degrado di alcuni punti. Ad ogni controllo si contempla ciò che hanno lasciato gli ultimi lavori di somma urgenza svoltisi: stampelle che sorreggono il tetto in punti critici ormai in fase di cedimento avanzato, con frantumi a terra, ferri spezzati e buchi tra le tegole che mostrano spiragli di cielo. E alzando gli occhi al cielo e mirando la mezza fiamma rimasta sulla lanterna della cupola, si vede la spada di Damocle che incombe sulla testa di tutti. Nelle dimore storiche di proprietà dello Stato c’è apposito personale ad occuparsi di riparazioni e manutenzioni; chi mai immagina un funzionario pubblico di livello (ambasciatori, prefetti, ministri e altri) che ad ogni temporale corre sul tetto a vedere la situazione? Potrebbe mai trasferire il proprio ufficio nell’atrio o in un ripostiglio?

La nostra chiesa è un esemplare di spicco del barocco palermitano, visitabile 365 giorni l’anno. È un edificio di culto monumentale capace di stupire e destare l’ammirazione dei turisti che vi entrano anche solo per una breve vista panoramica; persone che parlano lingue diverse, provenienti da diverse parti dell’Europa e soprattutto di altri continenti, dove l’epoca barocca non ha inciso o non ha prodotto le meraviglie che si trovano a Palermo e che arricchiscono la città di un valore aggiunto non comune. Sono spazi della “res-pubblica” che diventano anche luoghi della vita sociale, quando eletti dai cittadini per celebrare le festività dell’anno, benedire le proprie nozze, coltivare le tradizioni popolari, eminenti espressioni di cultura. I padri filippini hanno ininterrottamente custodito il monumento, distinguendosi sempre per la cura del luogo di culto, dignitosamente ufficiato, attenti all’ordinaria tenuta interna e manutenzione esterna. Trascurare l’estetica della “cosa pubblica” causa un abbruttimento esteriore, segno esterno di un degrado interiore, morale. La salvaguardia di questi beni interpella gli enti pubblici preposti dalla legge al loro mantenimento, quanto più interroga la politica del Paese sul modo di promuovere i valori di civiltà connaturali alla cultura italica.

Non tutti i cittadini conoscono la pagina di storia scritta nella seconda metà dell’Ottocento, quando con le leggi eversive dell’Italia unitaria, ai padri venne sottratta la propria abitazione e, rientrandovi più tardi, mancarono pure le risorse economiche con cui venne costruita e mantenuta. Subentrò allora lo Stato italiano che, da nuovo titolare del patrimonio, si fece carico anche degli oneri per la conservazione delle opere d’arte. La chiesa di Sant’Ignazio all’Olivella in Palermo durante il XX secolo può testimoniare diversi interventi svolti dallo Stato. L’ultimo tra febbraio-aprile 2019, quando in seguito a un crollo esterno della cupola si sono svolti lavori di somma urgenza con stanziamento di 150.000€ dalla direzione centrale del Fec, assegnati tramite gara d’appalto all’impresa edile locale incaricata. La direzione dei lavori curata dalla sovrintendenza ai beni culturali, ha ritenuto di concentrare i lavori sui cornicioni della facciata della chiesa, restando poi incompiuti su altri versanti, quando l’ufficio territoriale ha disposto di smantellare il cantiere. Si sarebbe potuto sospendere in attesa di altri fondi, invece il lavoro è stato interrotto una volta compiute le riparazioni essenziali.

La tenuta strutturale dell’edificio ha senz’altro la priorità sull’aspetto artistico; se crollasse cosa ammireremo? Pertanto passa in secondo piano l’osservazione delle statue in stucco della facciata, il colore dei cornicioni e dell’inferriata sul sagrato. Se non apprendessimo dagli scritti che l’attuale cappella di Santa Rosalia fosse in precedenza dedicata a Sant’Espedito, presto dovremmo chiamare gli archeologi per cercare di carpire chi è il santo raffigurato sulla volta, esaminando quanto ancora si scorge dai pochi frammenti di intonaco rimasti sulla volta. Mentre il Papa Gregorio XIII che consegna la sua bolla a San Filippo, è ormai un ricordo dei dipinti della prima cappella completata nella costruzione della chiesa e che oggi copriamo con drappi…

La struttura, che abbiamo considerato racconti la sua storia, pare dirci oggi che volga al declino. I segni dei tempi sembrano annunciare l’inizio della fine. Si salva fino all’ultimo l’apparenza, ma la sostanza – nel senso di “ciò che sta sotto” – si perde. Provando ad esprimerci in termini grafici diremmo che la curva di splendore della chiesa dell’Olivella è iniziata a decrescere e inclina verso valori sempre più bassi. L’andamento di questa parabola rappresentante l’estetica va al declino, diminuisce regressivamente la bellezza, che materialmente si disfa e si degrada. L’usura del tempo e i tanti fattori fisici che agiscono, colpiscono quella bellezza che si deteriora e, dall’apice raggiunto, comincia a tornare indietro verso l’iniziale punto zero. Un pezzo per volta decade l’insieme e si smonta la costruzione, fino al punto che non osiamo immaginare, proprio come le foto che inquadravano la rovina del ‘43.

Al largo di New York il transatlantico Andrea Doria affondò – a causa di negligenza altrui – con tutte le luci accese fino all’ultimo, grazie all’equipaggio che sottocoperta continuò a tenere in funzione l’impianto elettrico mentre l’acqua li sommergeva. Quei marinai furono un esempio mirabile di abnegazione. I padri filippini continuano a tenere la chiesa come un gioiello con pavimento lustrato, legni ravvivati, panche spolverate, argenti brillanti, grondaie pulite… Intanto dopo lo stupore che desta ammirare la bellezza nell’insieme, l’attenzione dello sguardo inizia a focalizzarsi sul dettaglio, sull’insieme visto più da vicino. Così la meraviglia si tramuta presto in amarezza che degrada verso lo sconforto. Sono dei segni premonitori che non poteva avere la tragedia dell’Andrea Doria, come è stata invece preannunciata per il ponte Morandi di Genova.

La domanda è allora: perché il Fec non manda periti a visionare lo stato delle strutture, ingegneri per fare i sopralluoghi sui tetti? Il prossimo fotografo lo accompagneremo a documentare la bellezza decadente nel terzo millennio.

Wonderful thingsultima modifica: 2020-01-27T13:44:48+01:00da sedda-co
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