Credendo speret, sperando amet

  1. Terminate queste parabole, Gesù partì di là e venuto nella sua patria insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli? Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra noi? Da dove gli vengono dunque tutte queste cose?». E si scandalizzavano per causa sua. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E non fece molti miracoli a causa della loro incredulità. (Mt 13,53-58)

Nel brano del vangelo (Gv 6,59-66) Gesù diventa duro e quasi provocatorio, un po’ come in questo brano sopra, per quei discepoli che trovano duro il suo linguaggio: “Conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli proprio di questo mormoravano, disse loro: Questo vi scandalizza?”. Cioè, non sapete che la fede è una cosa seria e difficile? Che capirla e viverla richiede scelte precise e coraggiose? Anche voi, dice rivolto ai più vicini, i Dodici: “Forse anche voi volete andarvene?”. Ecco, è quel che capita anche oggi: seguire Gesù è duro, le cose che dice e propone sono impegnative, la scelta per Lui è un rischio. Nel suo nocciolo credere è una RESA. Sì, un arrendersi alla scoperta dell’amore di Dio, alla esperienza che di Dio si ha bisogno e ci si può fidare, alla consapevolezza che Lui ha fatto proprio di tutto per conquistarci, e ci offre molto di più di quello che noi stessi possiamo sognare. Ma è una resa, proprio perché la nostra libertà – stranamente – vi ha resistito fino in fondo, perché fino alla fine, di Dio abbiamo un po’ paura e sospetto, fino all’ultimo vogliamo tenere altre sicurezze e appoggi, o il piede in due scarpe. E’ resistenza anche della nostra intelligenza che non “vede” e non capisce fino all’evidenza, verità e scelte a volte sconcertanti di Dio su noi e sulla storia.
Gesù ce lo conferma: “E’ lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla”. La carne significa la nostra condizione umana di uomini ribelli verso Dio, incapaci – questa è l’eredità del peccato – per nostra sola buona volontà di giungere fino a Dio e affidarvisi. Quindi hai in parte ragione, la fede è un dono, solo l’opera di Cristo, la grazia di Dio, l’azione interiore dello Spirito santo rafforzano quell’iniziale nostro anelito e lo maturano fino alla resa: “Per questo vi ho detto – ci dice Gesù – che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio”; ma come può il Signore farci grazia, se il nostro stesso cuore non è disposto ad accoglierlo? Dono offerto a tutti, la fede, ma che deve essere accolto come tale, al di là della presunzione di fare da sé. “Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito”. Chi cioè si apriva al dono e chi vi avrebbe resistito.

  1. Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Voi chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». (Mt 16,13-16)

Per Figlio dell’uomo s’intende l’origine celeste, la figliolanza divina del Messia. Questa è la vera vera domanda, fra tante filosofie e scuole di pensiero con che rilevanza, autorità, verità trattare la voce di Gesù nel vangelo? Come si colloca la Parola di Dio nei confronti di tante altre fonti? San Pietro ha risposto bene, ricevendo la compiacenza di Gesù. Ciascuno di noi personalmente dovrebbe arrivare alle sue risposte.

  1. Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna. Infatti Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. Il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. (Gv 3,16-19)

“Chi crede in lui non è condannato” perché è semplicemente salvo. “Ma chi non crede è già stato condannato”, poiché non ha creduto nel Figlio di Dio, con tutti gli attributi che porta in sé, specie in quanto salvezza dell’anima.. E’ importante il tempo presente di quest’affermazione, che non lascia adito a sentenze future, ma si riferisce al tempo attuale. Chi non crede in Gesù, anche in varia misura, ha rifiutato la Verità e la felicità. Con un atto di libertà ha deciso di negare la sua adesione al Figlio di Dio. Ha quindi allontanato quell’amore che Dio nutre per tutto il mondo indistintamente, che si coronerà poi con la vita eterna. Dall’altro lato va detto che non afferma neanche che chi crede in lui sia già stato salvato, dice infatti: “non è condannato”. È fra questi due fuochi che bisogna andare a ricercare la propria posizione. Chiunque crede in lui in fede, speranza e carità, non resterà deluso.

  1. Disse allora Gesù ai Dodici: «Forse anche voi volete andarvene?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio». (Gv 6,67-69)

“Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna!” Mano a mano che la vita terrena passa ci si rende conto di quanto sia vera questa affermazione di San Pietro. Quando maturando ci si accorge sempre di più della precarietà della condizione umana, finita e limitata perfino nell’incertezza del domani. Da chi andremo? Dai maghi? Dai ricchi? Dai malavitosi? Dai mercanti di senso? Dai grandi fondatori di religioni? Oppure dai tanti pensatori di ogni tempo? Dai tanti venditori di aria fritta, più o meno filosofici che vengono ricordati solo sulle pagine dei libri? “Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna” (Gv 6,27).

Ma qui ci troviamo di fronte ad uno che ha pagato duramente quello che sosteneva, cioè quello di essere Figlio di Dio di natura divina. Non ci troviamo di fronte ad un ciarlatano, intenzionato ad imbrogliare la gente e preoccupato per la presa del potere. Ne davanti a uno dei tanti filosofi che si son susseguiti nel corso della storia. “In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno della legge, senza che tutto sia compiuto” (Mt 5,25); a differenza di tutte le correnti di pensiero, succedutesi una dietro l’altra, la Parola di Dio non è mai caduta nel dimenticatoio, non è mai sbiadita dalla coscienza degli uomini. Solo la Parola di Dio si pone come fine ultimo la vita eterna, ovvero ultraterrena, e per rivelazione divina svela il senso più vero del nostro fine di cristiani e, quindi, figli di Dio.

«Le parole che vi ho detto – prosegue Gesù – sono spirito e vita». Pietro lo riconosce: «Tu hai parole di vita eterna». Contenuto primario della fede è credere che Gesù dice una parola di vita, ha un progetto di riuscita umana, che è l’unico vero perché è quello di Dio Creatore. Il secondo passo quindi per essere veri discepoli di Gesù è crederlo l’unico modello di umanità da seguire, sul quale misurare ogni altra scelta e valore. Come diceva San Francesco: “Tutto il bene, il sommo bene…”, “Il sommo bene, eterno, dal quale proviene ogni bene e senza il quale non esiste alcun bene”.

Questo “credo” non è atto da poco, perché significa scartare e svalutare tutti i modelli così insistentemente propostoci dalla nostra cultura. L’esperienza fallimentare di umanità che ci sta attorno e le nostre stesse illusioni ci spingono a dire: “Signore, da chi mai andremo?” se non da Te! Divenire discepoli veri di Gesù allora significa anzitutto riconoscerlo come l’inviato di Dio: “Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”. E più profondamente che egli è Dio stesso. Con i fatti della sua morte e risurrezione noi oggi abbiamo prove certe della sua divinità. Primo contenuto della fede è appunto aderire alla persona di Gesù come al Dio fattosi carne, cioè vicino a noi e nostro Salvatore.

Se Egli non fosse morto e risorto, metteremmo in dubbio la sua divinità. Qui si intuisce una Onnipotenza incredibile: un Dio che si fa uomo per condividere le nostre sofferenze. Che me ne faccio di un Dio che non condivide la mia sofferenza? Egli l’ha proprio condivisa fino in fondo. E’ stato provato in tutto, anche nelle tentazioni, ma non ha ceduto al peccato. Il suo Amore è così grande che se avesse potuto avrebbe condiviso anche il peccato, ma Egli non può andare contro se stesso. Si è sobbarcato della pena conseguente al peccato di tutta l’umanità, per rendere giustizia al Padre.

Signore, da chi andremo? Quale saggio ha condiviso così crudamente il nostro dolore? Moltissimi saggi prima di Cristo hanno scritto, hanno diffuso bei insegnamenti, hanno indicato la via della saggezza. Ma nessuno si è sottoposto ad una tortura così atroce come Gesù Cristo. Nessuno ha affermato quello che ha affermato di se stesso, dichiarandosi Figlio di Dio. Nessuno ha detto: “Venite a me o voi tutti che siete affaticati e stanchi, ed io vi ristorerò”. Nessuno ci ha promesso di portarci uno per uno al Padre (“vi preparerò un posto”). Nessuno ha perdonato il ladrone crocifisso come Lui sulla croce accanto. Nessuno ha esplicitamente affermato di amare ogni uomo, come ha fatto Lui. Perché non possiamo credergli?

Il contenuto della fede ha contorni ben precisi, e Gesù non cede in niente anche quando la gente dice: “Questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?”, e lo abbandona. Proprio ai più vicini Gesù non fa complimenti: o è così, o.. andatevene anche voi, se volete! Non annacqua la fede per aver più gente, così come la Chiesa non corre dietro a mode moderne per avere più consenso. Da allora la sua coerenza fedele al Dono di Dio irrita il soggettivismo del mondo, trovandosi a indicare una strada certamente difficile e impopolare.

Credendo speret, sperando ametultima modifica: 2020-02-05T11:28:09+01:00da sedda-co
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