dixit Ecclesiastes … et omnia vanitas

Un mio pensiero scritto in aprile 2014 durante l’esperienza di tirocinio a scuola

L’esperienza del tirocinio nella scuola, ultimamente mi sta mettendo a contatto con gli adolescenti, provocandomi delle domande alle quali ho dovuto cercare delle risposte. Vederli che si affacciano alla vita, con tutte le criticità della propria età, mi ha personalmente interrogato su un tema che ho notato abbia toccato degli IRC. Parlo della vita notturna e dei night. Evidentemente nella relazione finale del tirocinio non tratterò questo argomento, ma voglio esternarlo in un ‘social-network’ per ricevere eventualmente contributi critici da chiunque voglia lusingarmene. Proprio dai social vedo come siano coinvolti tanti amici ora fuori sede e altri più vicini, conosciuti tra scuola, parrocchia, sport; qualcuno perfino impegnato in discoteca come bar-man, dj, organizzatore (senza tuttavia qualificarlo come “lavoro”).

Quanto agli adolescenti, credo abbiano un diritto-dovere di divertirsi assimilabile a quello del gioco riconosciuto ai bambini dall’Unicef. Quando però la cosa tocca persone di età superiore, vuol dire che si possa considerare piuttosto seriamente. La “scienze del divertimento notturno” non ha evidentemente lo stesso fine della metafisica. Proprio per questo mi chiedo come una partesi di distrazione a fine settimana, possa diventare il centro del tempo e dell’attenzione. Il divertimento lecito, sembra diventare ragione di vita. Non voglio dire e non dico che ci sia una malizia intrinseca all’atto ludico di divertirsi, o considerare struttura di peccato un’attività commerciale dal titolo “7 vizi”. Lungi da me ogni demonizzazione, non critico locali notturni e distillerie come luoghi di perdizione, mi impressiona invece chi, più o meno consapevolmente, se ne fa un “life style vanity”. Sono queste le perplessità che mi hanno personalmente interrogato, per cui ho raccolto i pensieri sparsi, che si usa pubblicare in pillole su fb, in uno unico.

Ognuno di noi fa suo un certo lifestyle [da qui in poi “modus vivendi”], perché nel cammino della vita c’è bisogno di un obbiettivo che dia “senso” al nostro andare, per orientare l’agire secondo una condotta buona e per finalizzare complessivamente le azioni verso uno scopo. In più, mentre si cammina, c’è bisogno di significato che sostenga ogni passo.

Tuttavia non tutti i nostri atti sono eventi storici, o di portata esistenziale. Compiamo tanti gesti con naturalezza, per rispondere a tanti bisogni vitali di benessere attuale. Tra questi c’è sicuramente divertirsi per stare bene qui e ora; potremmo tutt’al più moderare l’assoluto presente per prevenire gli inconvenienti successivi (per es. mal di testa da musica, mal di pancia da alcol, ecc.). Anche voler allargare la propria cerchia di conoscenze può essere occasione per la nascita di relazioni, altro bisogno propriamente umano.

Pensare in modo contingente di realizzare così il proprio esserci, è una considerazione pratica squisitamente esistenzialista. Come insegna questa linea di pensiero, l’Uomo non esiste come una cosa tra le altre, ex-siste come apertura al mondo e ne è la possibilità stessa di comprensione, secondo modalità mai concluse perché progetta continuamente il suo esserci. Ora senza citare l’idea dell’alterità di eminenti esponenti, uno fra tutti Sartre che considerava l’altro come la “mia dannazione”, mi chiedo se sia l’impostazione più giusta per raggiungere l’obbiettivo.

[Quello in oggetto] è un ambiente che permette di esprimere spontaneamente tutto il meglio di sé? Permette di fare esperienza dell’Altro con incontri significativi? Che esperienza è? Se no, le relazioni nate si coltiveranno con incontri nello stesso ambito? È un luogo per la qualità o la quantità della vita sociale? Questo dasein realizza appieno le proprietà del tuo essere? Durante una serata abito ogni momento, al punto che mi emoziona ripensarlo? Se no, può anche essere un diversivo per riempire del tempo altrimenti vuoto. Se è un modo per passare del tempo in compagnia, dopo me ne potrà restare un buon ricordo. Per riattualizzarlo con quelle persone che vorrei presenti, cosa farò? Tornerò di nuovo lì a rifarlo? È un buon modo per intessere relazioni autentiche? Se come modus vivendi, elevo questa attività a occupazione primaria del mio tempo libero dopo lo studio/lavoro, mi resterà del tempo utile da dedicare per esempio per fare del bene agli altri?

Non sono domande per l’esame di coscienza e, per la concretezza dell’argomento, non mi sembra di speculare. Prima di sbatterci la testa, capita di andare avanti accontentandosi di poco nella risposta: si evita la domanda di senso, si fa tutto senza “perché”, o si devia la risposta per non vedere le conseguenze delle proprio comportamento. Così si elimina il problema per godersi il presente che si «fugge tuttavia» (Lorenzo De Medici). Il sabato sera si concentrano sprazzi di sballo come evasione dal peso della realtà quotidiana, o più modesti momenti autocelebrativi della propria vanità.

Aldilà del tempo impegnato da questo hobby, con annessi e connessi (guardaroba, trucco, acconciatura, indirizzario, contatti, budget…), l’aspetto immateriale è in realtà quello che più mi preoccupa. Quando ci concentriamo l’attenzione della mente, in parallelo, investiamo anche l’affettività nella ricerca di una felicità che va poi oltre la realizzazione iniziale, generando aspettative che superano questo ambiente. Prendere dimestichezza con certe logiche relazionali, imparando la propria parte come in un gioco di ruolo: finché si ha la consapevolezza di giocare, finisce tutto lì. Ma sperare di riempire l’esistenza così, è “fuori luogo” perché non è fatto per rispondere a bisogni superiori ai suddetti. La ricerca di soddisfazioni materiali qui ed ora ci ha portato a scoprire un vuoto interiore. E se cerchiamo di colmarlo sguazzandoci dentro ci porta affondo. Su questa scia verrebbero spontanee le domande appunto esistenziali: verso dove stai andando, che senso ha questo modus vivendi… E sarebbero comunque risposte personali.

Concludendo faccio notare che non ho nominato “Dio” neanche una volta in tutto il testo, sebbene per me sia lo sfondo di tutto il discorso. Come dicevo all’inizio, vivendo nel mondo per camminare coi piedi per terra verso il domani, cerchiamo di vivere l’oggi trascendendo la realtà verso l’alto. Lo sforzo di perseguire principi, ideali, valori, se unicamente volontaristico e individualistico non riesce. L’Uomo è un essere relazionale che esplica il suo “esserci” in relazione con le altre persone. Allo stesso tempo però l’Uomo non trova la pienezza del suo essere in un suo simile, deve andare alla fonte. Perciò credo che anche fondarlo sulle persone, relative e mutevoli, dia una felicità ahimè precaria. Enzo Bianchi in un libretto comprato in Facoltà, consiglia di «assumere la solitudine e, insieme, rifuggire l’isolamento: solo una vita interiore profonda e ricca può infatti nutrire una vita di relazioni feconde e autentiche, all’insegna di un amore intelligente» (‘Lussuria’, ed. San Paolo). Questo credo sia la socievolezza più sana [e santa] per andare incontro al prossimo e aprirsi alle relazioni. La fonte dell’essere che dà pienezza è la relazione con Dio-Persona che, quando ha assunto la mia stessa forma mortale, mi ha mostrato come vivere già qui in modo divino, l’unica risposta alle tante domande poste dalla mia perplessità.

Un uomo che maturò una significativa esperienza sul campo, dopo un certo cammino la rammemorò così: «Esalavo invece dalla paludosa concupiscenza della carne e dalle polle della pubertà un vapore, che obnubilava e offuscava il mio cuore. Non si distingueva più l’azzurro dell’affetto dalla foschia della libidine. L’uno e l’altra ribollivano confusamente nel mio intimo e la fragile età era trascinata fra i dirupi delle passioni, sprofondata nel gorgo dei vizi» (Sant’Agostino, Confessioni, Libro II, 2.2). Il cambio di rotta che ci mostra l’esempio di sant’Agostino, dimostra come non ci siano categorie di persone buone e cattive, solo modi di vivere le cose giusti o sbagliati, con vie che fanno arrivare più in alto. Non divido le persone in categorie poiché Dio può far sorgere figli di Abramo anche dalle pietre (cfr. Mt 3,9), perciò non sia che cogliendo la zizzania si porti via anche il grano (cfr. Mt 13,29). Agli amici detti all’inizio basterà non idolatrare un diletto, mentre a quelli come me camminare per questo deserto senza nuovi sincretismi.

dixit Ecclesiastes … et omnia vanitasultima modifica: 2020-02-05T11:38:09+01:00da sedda-co
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