pastorizia pastorale

Enrico Maria Radelli, “Amerio: tanto dogma, tanta chiesa. Niente dogma, niente chiesa”, in Atti del Convegno di Studi: VECCHIO E NUOVO MODERNISMO. Radici della crisi della Chiesa, Roma 23/06/2018, pp.88-89

Come finalmente segnala il de Mattei nel suo Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta (Lindau, Torino 2011), servendosi astutamente della biforcazione individuata da Amerio: “spareggiare” non è “perdere”, il cardinale Tisserant e papa Roncalli, due Pastori molto accorti, realizzarono, uno per averglielo suggerito l’altro per averlo attuato, il «colpo da maestro di satana», imprimendo al Vaticano II la forma magisteriale di secondo invece che di primo grado, cioè ‘pastorale’ invece che ‘dogmatica’, come avrebbe dovuto essere per la presenza di un Papa e, dunque, per poter dar modo allo stesso Papa di esprimersi, se ne avesse avuto necessità, nel massimo della pienezza o dell’entelechia di pronunciamento, com’era avvenuto nei venti Concili ecumenici precedenti, ex lege, anche, se in due di essi, il Concilio di Lione II e il Concilio Lateranense IV, il dogma non era stato esplicitato, in quanto non ve ne era la necessità.
Con tale escamotage, il Papa usufruì di una libertà che la forma dogmatica mai gli avrebbe permesso, costruendo così il secondo perno individuato da Amerio su cui si gioca la Chiesa modernista: porre la libertà prima della verità, l’efferato escamotage che il Luganese chiamerà «dislocazione della divina Monotriade» (R.Amerio, Iota unum).

Avere appositamente utilizzato il grado di insegnamento appena inferiore al dogmatico, quello di ‘magistero pastorale’, anziché ‘ordinario e autentico’, è un delitto d’omissione, compiuto da tutti i Papi che si sono susseguiti sul trono di Pietro dopo Pio XII, delitto cui si aggiunge quello del falso ideologico. Utilizzo compiuto proprio per le due precise caratteristiche del “magistero pastorale“:
1) di non essere dogmatico, ossia di non essere infallibile e irriformabile, così da avere la prerogativa di non chiamare in causa Dio, il che rassicura i suoi utilizzatori sulla propria vita, ben sapendo che non si chiama impunemente Dio a controfirmare una propria asserzione se essa non è più che vera. Nel pronunciamento dogmatico, infatti, Dio è chiamato in causa con l’uso del plurale maiestatico papale, il “Noi” dei due Soggetti: papale e divino;
2) di poter tuttavia esigere ancora, da tutta la Chiesa e da ogni fedele, un’obbedienza comunque forte, qual è in ogni caso quella del “religioso ossequio”, di fronte ad affermazioni che la Chiesa ritiene “verità connesse”, ossia verità direttamente discendenti dal dogma, come sono sempre state le verità insegnate prima che il modernismo si fosse intronizzato dove mai avrebbe potuto, con mezzi leciti.

pastorizia pastoraleultima modifica: 2024-05-04T16:25:13+02:00da sedda-co
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