“Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”

Tramite un conoscente della Messa tridentina a San Paolo Maggiore, mi ha contattato l’Editore Il Giglio di Napoli, che era a me del tutto ignoto, fintanto che non ho preso visione del loro sito internet. Ho scoperto così una realtà particolarmente interessante, in quanto gruppo cristiano di taglio culturale, dedito allo studio nello specifico ambito storico, con una produzione editoriale non indifferente. Li ho già ringraziati del riguardo avuto per il mio libro, in vendita nella loro biblioteca online, in attesa di sapere la loro leggendo la recensione promessa. Il mio libro riguarda proprio uno spaccato di storia di loro interesse, poiché l’Oratorio di San Filippo Neri cosiddetto dei “girolamini” sorge entro il regno di Napoli e ne diventa un eminente centro culturale.

Il materiale di studio che mostrano nel loro sito è per me interessante e stimolante, per cui spero di trovare il tempo di leggerlo. Il mio apprezzamento immediato è andato al loro impegno di studio della storia, non dell’archeologia cristiana dei tempi antichi. Studio della storia che in tarda epoca moderna vede gli albori del risorgimento italiano, le vicissitudini più o meno romanzesche che portano all’unità d’Italia, della quale abbiamo celebrato nove anni fa il 150° anniversario in modo assai attuale… In diversi scritti pubblicati personalmente ho messo in luce l’attualità degli eventi seguenti l’unità d’Italia, parlando dell’opera di eversione dell’asse ecclesiastico praticata dallo Stato italiano, con tentativi correttivi che poi non ripararono mai la situazione. La narrazione che ho potuto svolgere, grazie alla disponibilità di carte d’epoca, non è stata di genere fantastico. Oggigiorno la situazione che vivono gli istituti religiosi è tristemente ed incredibilmente l’eredità di quel frangente storico.

Misi piede per la prima volta in vita mia a Palermo e in Sicilia, il Natale 2012; tornando poi regolarmente tre volte l’anno. Fino ad allora non conoscevo che per sentito dire l’isola più grande del Mediterraneo. Sapevo di una ”bella città”, nota per il barocco e, secondo il più diffuso stereotipo, la mafia. Confesso senza vergogna la mia ignoranza di allora, per dare un’idea dei rapporti culturali pressoché inesistenti tra le due isole. Sono infatti nato in Sardegna, ove ho vissuto finora ventiquattro anni della mia esistenza. La storia della mia terra di origine, a partire dal medioevo, terminata l’età dei “giudicati”, è stata la storia di un popolo dominato e mai dominatore: i pisani, i mori, il papato, quatto secoli di spagnoli, fino a giungere ai Savoia. Acquisendo la Sardegna dopo la guerra di successione spagnola, il granducato di Savoia acquisì la corona, divenendo con la fusione perfetta dei territori (ad opera di Carlo Alberto nel 1847) il Regno di Sardegna che precorre il Regno d’Italia. Io credo che la storia da popolo “sottomesso”, senza gloriose strutture o superbo patrimonio estetico, abbia impresso nel carattere dei sardi una certa umiltà, grazie alla quale siamo naturalmente capaci di apprezzare il bello che incontriamo nel mondo. Tale valore ci salva dall’alterigia (o arroganza) culturale, la quale viene acuita dall’ignoranza, causata dall’insularità, quando questa determina isolamento.

Da poco più di quattro anni risiedo stabilmente a Palermo; proprio dal momento in cui tante cose hanno iniziato a cambiare nell’assetto urbano della città, che negli ultimi anni è arrivata a cifre record di presenze turistiche. Frequentandola da prima ho visto coi miei occhi l’evoluzione nei mezzi di trasporto pubblici, la vivibilità del centro storico, con apprezzabili riflessi su commercio e iniziative culturali. In poche parole tutto ciò che prima mi dava l’impressione di tornare indietro nel tempo di vent’anni, come se passando da Cagliari a Palermo attraversassi ogni volta un buco nero. Abitando a Palermo mi sono impegnato volentieri nel tempo libero a esplorare ogni angolo della città: giardini e parchi, ville, musei, chiese, teatri, decine di siti rientranti nella manifestazione “Vie dei tesori”. Grazie alle spiegazioni sentite nelle parecchie visite guidate, ho potuto conoscere la storia del posto ben oltre la sola visione oculare delle testimonianze materiali. Ho appreso notizie dal periodo arabo-normanno, all’architettura liberty disseminata per la città, dai monumenti del XIX secolo alla prospera nobiltà palermitana. Il glorioso passato di quelle epoche è oggi testimoniato dai segni materiali rimasti, ovvero i ricchi palazzi e grandiose chiese, edifici carichi di arte e, economicamente, segno di agiatezza che soddisfa ben più dei bisogni esistenziali dell’uomo. L’idea che in tutta onestà (intellettuale) mi sono fatto in conclusione, è assai amara… Prestando attenzione al corso storico, si nota come quella fiorente civiltà termini in un certo preciso momento, quello in cui, in Sicilia, prende il soppravvento una forza estranea, proveniente dall’esterno: i Savoia del Regno di Sardegna. I Savoia “dominarono” la Sicilia per soli sette anni (dal 1713 al 1720 grazie al trattato di Utrecht), poi in forza del trattato di Londra la cedettero in favore della Sardegna, che permise di elevare gli Stati sabaudi (ducato, contee, principati, signoria…) al rango di regno. Una parentesi così breve nel Regno di Sicilia era destinata a riaprirsi senza più termine. I rapporti culturali che dicevo sopra tra le due isole, sono stati assai ridotti quanto gli stessi legami storici.

In questa sede non ho l’ardire di riassumere tutta l’approfondita riflessione storico-politica che l’editore Il Giglio ha maturato nelle sue pubblicazioni di saggistica. Mi limito a osservare i primi e più lampanti effetti del cambiamento di regime che in Sicilia furono lo sconquasso del sistema sociale (azzeramento della nobiltà locale) e il fenomeno del brigantaggio (antesignano della mafia). Il resto verrà da sé… I cittadini italiani possono avere la memoria corta quanto vogliono, ma la questione meridionale non sorge certo con Massimo D’Alema. Un giudizio storico che si esprime criticamente o quanto meno con rammarico, può mai paventare un orientamento politico che oggi preferirebbe un’Italia divisa in tanti staterelli? Diciamo semplicemente che pure un bambino quando studia il risorgimento alle elementari possa concludere che l’unità d’Italia non si sia realizzata nel miglior modo possibile. Tirare le somme su quel periodo col senno di poi, cogliendo gli strascichi attuali di quel passato ai più remoto, permette sicuramente di formulare concrete risoluzioni e progetti per il nostro presente.

“Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”ultima modifica: 2020-04-22T15:49:58+02:00da sedda-co
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