Liturgia est culmen … et simul fons

Chiamare “tradizionale” la liturgia antica (preconciliare) l’ho trovo stridente rispetto al concetto stesso di tradizione, che non incomincia nel 1563 e porta in sé la possibilità di evoluzione nella trasmissione. Tuttavia se i cosiddetti cattolici tradizionalisti hanno piacere di chiamare “tradizionale” la liturgia tridentina, non ho intenzione di polemizzare con loro. In seguito alla riforma liturgica del Concilio Vaticano II e grazie alla riabilitazione del usus antiquior da parte di papa Benedetto XVI, oggi il nostro rito romano nella Chiesa latina ha queste due forme: ordinaria ed extra-ordinaria, cioè vetus e novus ordo. Le differenze non sono poche e una delle più lampanti sta nell’introduzione di un concetto nuovo e prima totalmente assente nel messale di Pio V (e anche Giovanni XXIII) che parlava di ministri che celebrano e «astanti» che assistono. L’introduzione generale al messale romano di Paolo VI (1976) parla di partecipazione dell’assemblea alla liturgia con carattere consapevole, attivo, comunitario. Che cosa significa? La partecipazione interiore ed esteriore alla liturgia celebrata dal popolo di Dio assieme al sacerdote che la presiede agendo in persona Christi, è un capitolo importante di liturgia non contenibile in nessuna pagina web. Oggi siamo tornati alla comunità che suddivide le proprie responsabilità tra i vari credenti, sempre sotto la guida dello Spirito Santo che “ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo” (Ef 4,11-12). Proviamo a mettere in luce solo come si esplica materialmente la partecipazione alla liturgia.

Poiché il servizio liturgico è fatto di azioni dette “sacre”, potremmo essere portati a credere che va curato solo l’elemento soprannaturale dell’uomo, il suo spirito, e non tenere conto che l’uomo è costituito di corpo ed anima, di carne e spirito. Ora la partecipazione piena (o consapevole) richiede non solo la presenza del cuore, dell’intelligenza e della fantasia, ma anche del corpo. Si comprende qui l’importanza di saper cogliere il significato dei simboli, riconoscere ogni momento della celebrazione. Anche il nostro corpo deve partecipare alle celebrazioni, poiché ogni gesto ha un suo valore, un suo significato efficace per mezzo dello Spirito Santo, in vario modo e misura donato ai credenti. L’assemblea che rimane spettatrice della celebrazione, semplicemente non prega: la preghiera comunitaria della Messa è vocale. Qui si coglie la necessità della partecipazione attiva alla celebrazione, che è interattiva nelle acclamazioni e che richiede ai fedeli di accogliere concretamente la grazia. “Le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa, che è sacramento di unità, cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei pastori. Perciò tali azioni appartengono all’intero corpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano; i singoli membri poi vi sono interessati in diverso modo, secondo la diversità degli stati, degli uffici e dell’attuale partecipazione” (SC 27). Lo stare in piedi, il sedersi, il fare il segno della croce, la processione… non sono semplicemente dei gesti: tutto ha un suo significato ed un suo valore. E quando questi gesti li facciamo insieme, come comunità credente riunita, indichiamo anche esteriormente l’unità di fede. Quelle parole e gesti espressi coralmente diventano segno della “comunione”. È necessario che tutti i cristiani siano convinti che la forma comunitaria e quindi attiva della preghiera cristiana è sempre da preferirsi a quella individuale e privata: “Ogni volta che i riti comportano, secondo la particolare natura di ciascuno, una celebrazione comunitaria, caratterizzata dalla partecipazione attiva dei fedeli, s’inculchi che questa è da preferirsi, per quanto è possibile, alla celebrazione individuale e quasi privata” (SC 27). La partecipazione attiva e comunitaria è il campo di battaglia della riforma liturgica. La Costituzione Sacrosanctum Concilium anche in questo è molto chiara: “Le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa”; “La celebrazione della Messa, in quanto azione di Cristo e del popolo di Dio gerarchicamente ordinato, costituisce il centro di tutta la vita cristiana” (SC 27).

Alla prima Messa domenicale di stamattina, il presidente ha dovuto aggiungere un’intenzione alla preghiera dei fedeli: «Perché ci torni la voce, preghiamo». Le mancate risposte da parte di un’assemblea ammutolita sono situazioni classiche nei matrimoni, talora nei funerali, in circostanze ove in genere non sono riuniti cristiani abitualmente frequentanti e che quindi non sanno comportarsi, non conoscono neanche le parole del rito… Pensare tali situazioni nelle Messe domenicali e/o feriali, con fedeli simili a mummie o sordomuti che si sforzano di rispondere appena in labiale quando si accorgono che nessuno lo fa, è davvero atterrente. Solo tra parentesi dovremmo sempre ricordarci che la “Chiesa crede come prega”… In proposito si apre un capitolo immenso relativo al canto, eminente apicale espressione di partecipazione alla liturgia. Senza mettere il dito nella piaga, c’è chi dice che “la riforma liturgica l’abbiano fatta i microfoni”. In effetti se si pensa a come si svolgeva la liturgia quando non esistevano (fino anni ’60), il sacerdote risparmiava la voce per quasi tutta la Messa, dovendo sgolarsi per letture, omelia, orazioni. Durante le preghiere dal sacerdote recitate sottovoce, da solo o con gli accoliti, la schola cantorum eseguiva brani per lo più incantabili e incomprensibili ai fedeli che durante la Messa recitavano per conto proprio il rosario… Se oggi ci sono cristiani che vorrebbero assistere alla liturgia dimenticando che il Signore gli ha donato la voce, io al posto del sacerdote spegnerei i microfoni e risparmierei la mia voce proprio com’era prima. È un controsenso rispetto alla liturgia in lingua corrente, con altare al popolo, udibile e comprensibile da tutti, ma se a quasi cinquant’anni dalla riforma liturgica non abbiamo capito neanche questo, tanto vale tornare indietro.

Liturgia est culmen … et simul fonsultima modifica: 2020-05-24T20:41:51+02:00da sedda-co
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