Riflettere è ascoltare più forte

Il motu proprio Summorum Pontificum ha generato un fenomeno per molti sorprendente. Si tratta di un vero e proprio “segno dei tempi”: l’interesse che la forma straordinaria del rito romano suscita specie tra i giovani che non lo hanno mai sperimentato come forma ordinaria; manifestazione di una sete per “linguaggi” che non siano “la solita solfa”, ma che anzi invitano a nuovi e, per molti pastori, inattesi orizzonti. L’apertura del patrimonio liturgico della Chiesa a tutti i fedeli ha reso possibile a chi non le conosceva la scoperta di tutte le ricchezze di questo patrimonio; e proprio tra costoro vengono sollecitate, più che mai, numerose vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa, in tutto il mondo: gente disposta a donare la propria vita a servizio dell’evangelizzazione.

(card. Antonio Canizares Llovera già prefetto della Congregazione per il Culto Divino, in Peter Kwasniewski. Nobile bellezza, sublime santità: Perché la modernità ha bisogno della Messa tradizionale, trad. it.G.M.Olivari, ed. Fede&Cultura)

Gilbert Keith Chesterton aveva già fornito la risposta a una simile deriva: “Il cattolicesimo è l’unica cosa in grado di liberare l’uomo dalla degradante schiavitù di essere figlio del proprio tempo”. “Noi non vogliamo una Chiesa che si muove col mondo, come dicono i giornali. Noi vogliamo una Chiesa che muova il mondo”. Robert Speaight, che inizialmente supportò entusiasticamente il Concilio Vaticano II, echeggia G.K. Chesterton nella sobria considerazione della situazione della Chiesa nel 1970: Eravamo spinti dal desiderio di sacralizzare il mondo, non di secolarizzare la Chiesa. Può darsi che volessimo rendere l’altare più semplice, per quanto ci potessimo interessare di queste cose; certo non volevamo sostituirlo con una tavola da cucina. Il latino della Messa non solo era familiare, ma anche numinoso, e non avevamo alcun desiderio di barattarlo con una lingua moderna che ha giustificato le nostre peggiori paure. Non volevamo che i preti si vestissero come i parrocchiani – come neanche avremmo potuto volere che i giudici si vestissero come i giurati. Eravamo antimodernisti e forse, eccettuate questioni di estetica, antimodernes; eravamo radicali solo nel senso che volevamo scendere fino alle radici, non nel senso che volevamo estirparle. Ci preoccupavamo di preservare i valori di una civiltà antica piuttosto che intraprendere la costruzione di una nuova.

Riflettere è ascoltare più forteultima modifica: 2023-01-27T11:39:19+01:00da sedda-co
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