virtutis speculum, recti via

Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la sua propria vita, non può essere mio discepolo. (Lc 14,26)

Il 4 ottobre per tutta la Chiesa universale è la memoria liturgica del Serafico Padre San Francesco, in Italia è festa liturgica per il patrono del Paese, per i francescani è la solennità del fondatore. Cosa si può dire riguardo a un gigante della fede di tale portata storica? È interessante notare come San Francesco non nacque già santo dal grembo di sua madre, com’è stato invece per Gesù e in un certo qual modo per la sua stessa Madre. Tutti i santi mostrano e dimostrano con la loro vita, come la santità sia un percorso di reciproco scambio tra la grazia di Dio e la collaborazione dell’uomo.
È significativo considerare il particolar modo in cui San Francesco diede avvio ufficialmente alla sua singolare vita religiosa, ovvero il momento in cui si può considerare ebbe principio esteriore la sua vocazione di speciale consacrazione. Nell’episodio della spoliazione davanti al vescovo nella pubblica piazza di Assisi, si riconosce il punto di svolta tra la “vita prima” e l’inizio della “vita seconda”, della sequela di Cristo integrale.
Allora San Francesco lasciando la casa paterna, rinunciò a tutti i beni terreni di cui godette fino a quel momento e che gli sarebbero spettati in eredità, proferendo le celebri parole: “da oggi io non ho più né padre né madre”. Perché l’atteggiamento non può considerarsi un peccato contro il 4° Comandamento del Decalogo? Perché Gesù ha detto: Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me (Mt 10,37). Quando diventano di peso o di ostacolo alla realizzazione del progetto di Dio, i genitori non possono anteporsi o frapporsi a Lui che è ben più importante. Al pari degli sposi che lasciano la famiglia di origine per formarne una nuova, chi si mette al servizio di Dio lascerà suo padre e sua madre (Mt 19,5; Mc 10,7; Ef 5,31) per unirsi con la Chiesa al suo Sposo (cfr. Ef 5,25).

Quel padre carnale cercava, poi, di indurre quel figlio della grazia, ormai spogliato del denaro, a presentarsi davanti al vescovo della città, per fargli rinunciare, nelle mani di lui, all’eredità paterna e restituire tutto ciò che aveva . Il vero amatore della povertà accettò prontamente questa proposta. Giunto alla presenza del vescovo, non sopporta indugi o esitazioni; non aspetta né fa parole; ma, immediatamente, depone tutti i vestiti e li restituisce al padre. Si scoprì allora che l’uomo di Dio, sotto le vesti delicate, portava sulle carni un cilicio. Poi, inebriato da un ammirabile fervore di spirito, depose anche le mutande e si denudò totalmente davanti a tutti dicendo al padre: “Finora ho chiamato te, mio padre sulla terra; d’ora in poi posso dire con tutta sicurezza: Padre nostro, che sei nei cieli, perché in Lui ho riposto ogni mio tesoro e ho collocato tutta la mia fiducia e la mia speranza”. Il vescovo, vedendo questo e ammirando l’uomo di Dio nel suo fervore senza limiti, subito si alzò, lo prese piangendo fra le sue braccia e, pietoso e buono com’era, lo ricoprì con il suo stesso pallio. Comandò, poi, ai suoi di dare qualcosa al giovane per ricoprirsi. Gli offrirono, appunto, il mantello povero e vile di un contadino, servo del vescovo. Egli, ricevendolo con gratitudine, di propria mano gli tracciò sopra il segno della croce, con un mattone che gli capitò sottomano e formò con esso una veste adatta a ricoprire un uomo crocifisso e seminudo. (Fonti Francescane n.1043)

L’uomo di Dio si alzò, lieto e confortato dalle parole del vescovo, e traendo fuori i soldi, disse: «Messere, non soltanto il denaro ricavato vendendo la sua roba, ma gli restituirò di tutto cuore anche i vestiti». Entrò in una camera, si spogliò completamente, depose sui vestiti il gruzzolo, e uscendo nudo alla presenza del vescovo, del padre e degli astanti, disse: «Ascoltate tutti e cercate di capirmi. Finora ho chiamato Pietro di Bernardone padre mio. Ma dal momento che ho deciso di servire Dio, gli rendo il denaro che tanto lo tormenta e tutti gl’indumenti avuti da lui. D’ora in poi voglio dire: “Padre nostro, che sei nei cieli”, non più “padre mio Pietro di Bernardone”» (Fonti Francescane n.1419)

I padri dell’Oratorio, per volontà del fondatore San Filippo Neri, vivono liberi da voti religiosi con l’impegno però di tendere alla medesima perfezione dei religiosi. La spiritualità dell’Oratorio nella sua letteratura esprime a chiare lettere l’invito alla pratica dei consigli evangelici da assumersi privatamente. Riguardo ai familiari l’opera dei Pregi al capitolo 9° illustra approfonditamente il “distacco dai parenti”.
Proprio il giorno 4 ottobre c.a. presso la sezione penale del tribunale di Palermo si terrà un’udienza del processo promosso da un padre filippino contro un confratello che, davanti allo Stato italiano, dovrà difendersi dall’accusa di avergli rovinato la vita, poiché per causa sua ha dovuto lasciare sua madre per essere mandato in Siberia – secondo quanto dichiarato al giudice. Sono molteplici le contraddizioni che il caso porta in luce e offre alla riflessione, tuttavia è sempre e solo la Parola di Dio lampada ai nostri passi, luce sul nostro cammino (Sal 118) che illumina permettendo di discernere oggettivamente il bene dal male, il giusto dallo sbagliato. Aiuta dunque la meditazione la lettura di San Paolo apostolo:

Quando due di voi sono in lite, non dovrebbero neppure chiedere giustizia ai giudici pagani; dovrebbero invece rivolgersi alla comunità. Voi ben sapete che il popolo di Dio giudicherà il mondo. E se dovrete giudicare il mondo, a maggior ragione dovete essere capaci di risolvere questioni di minore importanza. Non sapete che dovremo giudicare anche gli angeli? Perché allora non dovremo giudicare le nostre liti?
Quando dunque avete da risolvere le questioni di questa vita, perché mettete come giudici, nella chiesa, persone estranee? Lo dico per farvi vergognare, perché è impossibile che in mezzo a voi non si possa trovare qualche persona saggia, capace di risolvere una questione tra fratelli. Del resto, è proprio indispensabile che un fratello citi in giudizio un altro fratello, e per di più, dinanzi a giudici non credenti?
È già cattivo segno che ci siano processi tra voi. Perché non sopportate piuttosto qualche torto? Perché non siete disposti piuttosto a rimetterci qualcosa? Invece siete proprio voi che commettete ingiustizie e rubate e per di più contro i fratelli! Sappiate però che non c’è posto per i malvagi nel nuovo mondo di Dio. Non illudetevi: nel regno di Dio non entreranno gli immorali, gli adoratori di idoli, gli adùlteri, i maniaci sessuali, i ladri, gli invidiosi, gli ubriaconi, i calunniatori, i delinquenti. (1Cor 6,1-10)

Se è inevitabile che in questo mondo il grano cresca assieme alla zizzania, ricordiamo appunto che il Signore non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva (Ez 33,11), per cui non disperiamo mai nella conversione del peccatore, mentre ci sforziamo di amare i nostri nemici, benedire e non maledire.
A me però, poco importa di venir giudicato da voi o da un consesso umano; anzi, io neppure giudico me stesso, perché anche se non sono consapevole di colpa alcuna non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore! Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, finché venga il Signore. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio. (1Cor 4,3-5)