pater pauperum

Il vero significato e valore del francescanesimo consisteva nel testimoniare la possibilità di una vita radicalmente evangelica, rinunciando a tutto e godendo della beatitudine promessa a quei “poveri” delineati dalla Bibbia col termine ebraico anawìm, che indica innanzitutto i poveri non per fato o per colpa, ma per scelta e/o rassegnazione, ossia gli umili che si fanno piccoli davanti a Dio e si sottomettono alla Sua guida: «Esemplare è l’atteggiamento di apertura a Dio vissuto eroicamente dai poveri, e che tutti i credenti sono chiamati a vivere, perché saranno sempre poveri davanti a Dio» (J.Léveque, “Anawìm”, in P. Poupard, Dizionario delle religioni, vol. I, p. 79).
L’ideale francescano della povertà non consisteva tanto nel rifiutare le ricchezze terrene, come oggi superficialmente si pensa, quanto nel rinunciare al mondo, ossia ai piaceri, agli onori e ai vantaggi, ma specialmente a ogni diritto o pretesa, a ogni sicurezza e protezione, mettendosi alla completa dipendenza da tutti, allo scopo di vivere nel più assoluto abbandono alla Divina Provvidenza (cfr. K.Esser, Mysterium paupertatis, in id., Temi spirituali, Milano, 1967, pp.71-96). Possiamo capire la radicalità di questa scelta solo se pensiamo a quanto il mondo tardo-medioevale teneva alla propria sicurezza sociale, faticosamente conquistata dopo secoli d’incertezze e disordini. Francesco seguì la via evangelica della rinuncia, del sacrificio e del dolore, ossia la via regale della Croce: «Egli giunse alla gioia attraverso la sofferenza, alla libertà attraverso l’obbedienza e il totale rinnegamento di se stesso, all’amore odiando se stesso, cioè, secondo il linguaggio evangelico, vincendo l’egoismo» (Giovanni Paolo II, Lettera per il VIII centenario della nascita di San Francesco, 15 agosto 1982, in id., Con Francesco nella Chiesa, p. 155).
Insomma, la povertà francescana è modello e compendio di tutte le rinunce, è verifica di una umiltà che stima e persegue solo l’“unico necessario”: Dio. Come precisa Benedetto XVI: «Tutte le passate ricchezze, ogni motivo di vanto e di sicurezza, tutto diventa una “perdita”, dal momento dell’incontro con Gesù crocifisso e risorto (cfr. Fil. 3, 7-11). Il lasciare tutto diventa a quel punto quasi necessario, per esprimere la sovrabbondanza del dono ricevuto; questo è talmente grande da richiedere uno spogliamento totale» (Benedetto XVI, Con grande gioia, discorso del 18 aprile 2009). Tale spoliazione assoluta, sia affettiva che effettiva, comprendente anche i diritti civili, «è l’atto di divorzio dal mondo: nella mente di Francesco, essa deve operare la restituzione totale a Dio dei beni concessi all’uomo per la mediazione del suo Figlio prediletto, in cambio della gioia di possedere solo Dio» (E.Longpré, Francesco d’Assisi e la sua esperienza spirituale, p.104); è quindi totale e fiducioso abbandono ai divini disegni, nella prospettiva di «vivere solo dei fondi disposti dalla Provvidenza […] felice di non avere altro bene che Dio, di non aspettarsi nulla se non da Lui, di non ricevere nulla se non per amor suo. Grazie alla divina misericordia, egli non ha altro affare che quello di servire Dio» (J.B.Bossuet, Panégyrique de saint Francois d’Assise, p.273).

Guido Vignelli. San Francesco antimoderno: Il vero volto del Santo di Assisi, ed. Fede&Cultura, pp.71-73

« Mi addoloravo grandemente soprattutto di alcuni, i quali, mentre nel secolo erano stati poveri e di poco conto, venuti da me si fecero ricchi. Impinguati e ingrassati, recalcitravano più degli altri, mettendomi in ridicolo. Costoro, che erano indegni perfino di vivere, disfatti dalla indigenza e dalla fame, dediti a brucare l’erba e la scorza degli alberi, avviliti dalle sventure e dalla miseria; adesso però non si accontentano della vita comune, ma si tirano da parte, pascendo se stessi senza ritegno, e il loro genere di vita, all’ansiosa ricerca di cose superflue, comincia a dar noia a tutti, perché vorrebbero onore tra i discepoli di Cristo quando nel secolo erano tenuti in nessun conto anche dai conoscenti. Costoro, che spesso mancavano perfino di pan d’orzo e dl acqua e reputavano un lusso stare sotto i rovi, razza ignorante e ignobile, che nel mondo non compariva per nulla e mi è precipitata addosso per mia sventura, hanno orrore di me e mi schivano e non si vergognano di sputarmi in faccia. Ho subito da loro villanie e paure, e i miei amici e quelli che stavano al mio fianco mi hanno insultata. Si vergognavano di me, e tanto più mi ripudiavano, quanto più sapevano di aver fruito dei miei benefici, fino al punto da sdegnare perfino di sentire il mio nome ».
(Madonna Povertà in Sacrum commercium, FF 2009)
pater pauperumultima modifica: 2022-09-23T10:03:44+02:00da sedda-co
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