Vespro San Filippo

AD VESPERAS IN DIE 26 MAII
Festo Sancti Patris Nostri Philippi Nerii
confessoris et fundatoris Congregationis Oratorii

  L’introito suonato all’organo accompagna la processione d’ingresso dei ministri preceduti dal servizio liturgico e dai pivialisti; il vespro solenne, infatti, si caratterizza per il canto a due cori, oltre che l’incenso e le candele. Giunto alla sede il presidente da solo intona l’incipit in tono feriale, festivo o solenne a seconda della circostanza. Compiendo il gesto del segno di croce si canta Deus in adjutorium meum intende e tutti raccolgono l’ultima nota per dare una risposta potente: Domine, ad adjuvandum me festina. Vieni presto, Signore, in mio, in nostro aiuto! I padri dell’Oratorio impegnati durante il giorno nel lavoro apostolico, in occupazioni e luoghi diversi, solo in tardo pomeriggio prima del desinare, riuscivano a riunirsi per la preghiera comunitaria del Vespro.
Il breviario di rito antico si apre con la salmodia e rispettive antifone. Nella solennità del fondatore i primi quattro salmi sono gli stessi della domenica, tutto il resto è proprio del Santo. Tutto parla del santo che si celebra, ne canta le virtù ma soprattutto i suoi caratteri, l’esperienza mistica, i riferimenti scritturistici che lo descrivono. Ogni salmo si conclude col Gloria Patri cantato con inchino profondo (seduti o in piedi) scoprendosi il capo.
Subito dopo il gloria dell’incipit, viene intonata la I antifona dall’antifonario preparatosi secondo la particolare melodia gregoriana prescritta: De excelso misit ignem in ossibus meis et erudivit me, «dall’alto mandò un fuoco nelle mie ossa», riferendosi al fenomeno mistico della trasveberazione che, alla sera della vigilia di Pentecoste 1544 nella catacomba di San Sebastiano, gli dilatò il cuore allargando due costole. Fu la cosiddetta “pentecoste di San Filippo”, quando lo Spirito Santo sotto forma di un globo di fuoco gli penetrò nel petto e da allora visse con un cuore più grande e un ingrossamento della gabbia toracica.
Subito segue il primo salmo intonato dal salmista, al quale si accoda il coro cui appartiene, alternando ogni strofa con l’altro coro. Il salmo 109 è il celebre Dixit Dominus, sovente abbreviato “il dixit” che sottende una grande varietà di composizioni musicali. In gregoriano si usa il tono 7° ma in ogni tempo tutti i più celebri compositori non hanno trascurato di produrre una propria versione. Il Re Davide scrive che il Figlio sede alla destra del Padre, il quale annienterà i suoi nemici. Il Figlio sarà perciò consacrato sacerdote per sempre al modo di Melkisedech.
Al termine del salmo tutti assieme si ripete la I antifona e, senza indugiare in pause di silenzio, lo stesso antifonario, o un altro se sono in due, intona la II antifona: Concaluit cor meum intra me, et in meditatione mea exardescet ignis. Compaiono ancora il cuore e il fuoco per dire che «il mio cuore è acceso dentro di me da un fuoco che arde nella meditazione». Il cuore infiammato dell’amore divino dallo Spirito Santo è simbolo caratteristico di San Filippo, poiché del tutto soprannaturale. Nella vita del Santo la “meditazione” la si può riconoscere particolarmente nella prima fase più solitaria della sua vita, quando in ricerca della volontà di Dio si ritirava in preghiera a Montecassino, Gaeta, come eremita urbano a Roma e nelle catacombe.
L’antifona precede immediatamente il secondo salmo; dopo il salmo 109 viene il numero 110 del salterio romano, cantato in gregoriano col tono 3°. Esalta le opere del Signore e ne loda la fedeltà nei secoli. Ma, sul finire, lo sguardo dell’orante osa spingersi fino al Santo dei Santi: Sanctum et terribile nomen ejus… le voci vibrano per un istante all’unisono: perché quella trascendenza ineffabile non è rimasta lontana, ma ha camminato nel mondo! Gli oranti non cantano un’idea, cantano il fascino di un Dio incarnato.
La III antifona riprende ancora il tema spiritualmente forte nella mistica di San Filippo: Cor meum et caro mea exsultaverunt in Deum vivum, «il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente», al punto di raggiungere l’estasi, abituali nella sua orazione più intensa; un fenomeno di cui personalmente soffriva, dicendo che chi desiderava averle non sapeva proprio cosa fossero.
La dolcezza del 4° modo gregoriano accompagna il terzo salmo Beatus vir (il numero 111, dopo 110 e 109), di cui ogni versetto svela un tratto del vero amico di Dio. Solo alla fine appare l’intero mosaico della Grazia: al nostro canto si unisce la schiera dei santi nella Gerusalemme celeste, gli innumerevoli giusti che, nei secoli, hanno amato i fratelli, hanno espanso il Regno dei cieli, hanno seguito l’Agnello. Per mezzo della Liturgia, l’Apocalisse è già qui, adesso. Fuori, i fuochi scintillanti del meriggio si stanno lentamente estinguendo, e la calura del giorno pare addolcirsi di fronte all’incedere della sera.
La IV antifona prelude al penultimo salmo. Factus est in corde meo quasi ignis exaestuans, et defeci ferre non sustinens, ovvero lo Spirito Santo «divenne come un fuoco ardente nel cuore e non riuscii a sopportarlo». La trasverberazione del cuore non fu il fenomeno di un momento, bensì perdurò dall’età di 29 anni fino a quando morì a 80 anni. Tutta la vita San Filippo soffrì di accaloramento che lo costringeva a tenere la camicia sbottonata anche in inverno; il cuore faceva vibrare le panche su cui sedeva, le palpitazioni venivano avvertite a distanza. Il privilegio spirituale di essere toccato dalla grazia non gli diede un benessere fisico superiore…
Al canto del quarto salmo Laudate Pueri (numero 112), l’intero coro si immerge nelle suggestioni del tramonto, come cullato dal modo 7° gregoriano, quello della gioia debordante, della lode perenne. A solis ortu usque ad occasum…, «dal sorgere del sole al suo tramonto sia lodato il nome del Signore». Ma ecco, a metà del salmo, una domanda stupita: Quis sicut Dominus Deus noster, qui in altis habitat et humilia respicit? C’è un Dio più grande di Colui che ha rovesciato la supponenza del mondo, e ha eletto l’umiltà a sua dimora? Trasale il coro, mentre la melodia indugia sul mistero della tenerezza dell’Onnipotente.
La V antifona, piuttosto lunga, si presenta pure come la più poetica. Defecit caro mea et cor meum, Deus cordis mei, et pars mea Deus in aeternum: la mia carne e il mio cuore vengono meno, “hanno fallito”, il Dio del mio cuore è “parte di me”, mia parte di eredità, in eterno. Nel Regno dei cieli il Santo contemplerà di presenza il Dio tanto anelato, che pure gli fu tanto vicino in terra.
Il quinto salmo nelle solennità è l’unico che differisce da quello delle domeniche, cantato in “tono peregrino”. In luogo del salmo numero 113 che segue in ordine i precedenti, si cantano in tono solenne due versetti del salmo 116 Laudate Dominum omnes gentes: tutti i popoli lodino il Signore che ha confermato per noi la sua misericordia, dimostrando così la sua verità eterna.

  Concluso il canto dei salmi, ci si alza tutti in piedi per il capitolo cantato in tono grave dal presidente, con le ultime note che danno voce alla risposta corale Deo gratias. Le parole della Sacra Scrittura che il Vespro attribuisce a San Filippo Neri sono dal capitolo 5 della lettera ai Romani, le stesse dell’antifona d’introito nella Messa di Pentecoste: «La carità di Dio è stata effusa nei nostri cuori, per mezzo dello Spirito Santo che abita in noi». La carità è stata pure l’unica norma cui il fondatore volle vincolare i suoi padri, senza scrivere alcuna regola di vita tipica dei religiosi. Secondo l’opportunità, a questo punto può tenersi un breve omelia.
Tanta Parola di Dio cantata fa ora spazio, nella seconda parte del Vespro, alle parole della tradizione: il componimento in versi dell’inno proprio del Santo, di autore ignoto, in latino con strofe asclepiadee di secondo tipo (tre versi asclepiadei minori e un gliconeo). In forma poetica il testo della preghiera loda il Santo enumerando, oltre i titoli, le virtù e i meriti che lo hanno assiso nel più alto dei cieli. Ecco la traduzione in italiano:

Filippo esaltino i nostri canti
che splende esimio nel ciel fulgente
per virtù e meriti i gaudii santi
si gode eternamente

Calca magnanimo la prospettiva
degli alti incarichi di vita agiata
a Roma recasi palestra viva,
a lui predestinata

Frequenta assiduo le Catacombe
dei santi Martiri pio cultore;
per bene vivere da quelle tombe
attinge grande ardore

Il Santo Spirito nel suo pregare,
a lui il fervido petto dilata
perché al grand’Ospite vasta dimora
in lui sia preparata

All’Alma Triade sia lode e canto
Che ognora provvida l’orbe governa,
che per le suppliche di questo Santo
ci guidi a vita eterna. Amen

  Il versetto che segue l’inno è intonato generalmente da un salmista, con risposta ti tutti all’unisono. La liturgia ha voluto inserire proprio il versetto sul quale cadde l’occhio del padre Cesare Baronio quando aprì il breviario al capezzale di San Filippo appena spirato: «Proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato, il germoglio che ti sei coltivato» (Sal 79,16); da leggersi in riferimento alla creazione di San Filippo Neri, cioè l’opera dell’Oratorio e la Congregazione. Nel tempo di Pasqua si aggiunge “alleluia” alla fine del versetto e di tutte le antifone.
  Domus mea domus orationis vocabitur, dicit Dominus: «La mia casa sarà chiamata casa di preghiera» sono parole che risuonano chiaramente dall’Antico Testamento, ribadite da Gesù quando scaccia i mercanti dal Tempio (Lc 19,46). L’antifona al magnificat trova un chiaro riferimento anche nelle parole Domus orationis est che i padri dell’Oratorio di Palermo hanno voluto incidere nell’effige sovrastante il portale d’ingresso della chiesa, indicando il riferimento a Lvca XIX.
Il cantico evangelico della Beata Vergine Maria, l’esultanza dell’anima nello spirito, è la parte fissa e invariabile del Vespro. Nel succedersi dei salmi la Madre di Dio contemplava in silenzio il Figlio, ora parla con gli accenti di un animo grato, con lo slancio di un cuore innamorato: Magnificat anima mea Dominum. Il magnificat viene intonato dal presidente e ci si segna Si accoda per le strofe un coro alternato all’altro, mentre viene incensato l’altare. In presenza di un coro polifonico, per cantare il magnificat non si contano le composizioni musicali esistenti.
Il saluto Dominus vobiscum. Et cum spirito tuo prelude il canto dell’orazione propria, cui seguirà l’amen corale all’unisono. La classica formula di congedo «Benediciamo il Signore. Rendiamo grazie a Dio», al pari dell’incipit, può essere cantata con toni diversi, non necessariamente dal presidente. Tutti rispondono Deo gratias, siano rese grazie a Dio, a Colui che ci ha concesso durante quest’ora, di gustare un anticipo celeste, di intravedere la Liturgia eterna, il giorno che non conosce tramonto.

Vespro San Filippoultima modifica: 2022-05-26T20:00:53+02:00da sedda-co
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