adhaéreat viscéribus meis: et præsta; ut in me non remáneat scélerum mácula

«Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quanto vi ho trasmesso, cioè che il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane, e dopo aver reso le grazie, lo spezzò e disse: ‘Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me’. Così pure, dopo aver cenato, prese anche il calice dicendo: ‘Questo è il nuovo patto nel mio sangue: fate questo, tutte le volte che ne berrete, in memoria di me’. Or dunque, tutte le volte che voi mangiate di questo pane e bevete di questo calice, celebrate la morte del Signore, finché egli venga. Perciò chiunque mangia questo pane o beve il calice del Signore indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ognuno dunque esamini se stesso e così mangi di quel pane e beva del calice; perché chi mangia e beve, senza discernere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna» (1 Cor 11,23-29)

La S. Comunione è necessaria alla salvezza, non però come il Battesimo o la Confessione. L’obbligo di ricevere la S. Comunione incomincia per il battezzato con l’uso della ragione. La Chiesa ha determinato questo precetto divino positivo, stabilendo di ricevere la S. Comunione almeno una volta all’anno, possibilmente nel periodo pasquale e anche in pericolo di morte come Viatico. Non si soddisfa al precetto con una Comunione sacrilega. La Comunione frequente, e anche quotidiana, non è necessaria per diritto divino, ma a tutti è caldamente raccomandata, purché si accostino al banchetto Eucaristico con le dovute disposizioni.

– condizioni per la S. Comunione –

  1. Essere in grazia di Dio. Si ricorda che è obbligato a confessarsi solo chi è in peccato mortale. Chi si accosta alla Comunione in peccato mortale commette un grave sacrilegio. Papa Giovanni Paolo II, nell’enciclica Ecclesia de Eucharistia: ha ribadito l’insegnamento espresso dal Catechismo della Chiesa Cattolica: “«Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla comunione» (n.1385). Desidero quindi ribadire che vige e vigerà sempre nella Chiesa la norma con cui il Concilio di Trento ha concretizzato la severa ammonizione dell’apostolo Paolo affermando che, al fine di una degna ricezione dell’Eucaristia, «si deve premettere la confessione dei peccati, quando uno è conscio di peccato mortale»
  2. Essere digiuni da un’ora. Il periodo è stato ulteriormente ridotto dalla riforma liturgica. Si ricorda che l’acqua e le medicine si possono prendere sempre, i malati e talora chi li assiste sono dispensati dal digiuno (CJC 912).
  3. Sapere e pensare chi si va a ricevere. L’atteggiamento del corpo, l’abbigliamento, esprimerà il rispetto con cui ci presentiamo innanzi al Signore. L’attenzione del cuore dovrà essere proporzionata al mistero che si riceve, senza dissipazioni e distrazioni, pensando al grande dono che il Signore ci fa; la formazione della mente permetterà la coscienza sufficiente per il momento importantissimo. L’ordine esteriore (la fila, le mani ben messe, la risposta “amen”, il ritorno al proprio posto) come segno del raccoglimento indispensabile.

Per fare la Comunione non è necessario prendere le due specie: ne basta una sola, nella quale c’è tutto Gesù. In virtù della presenza sacramentale di Cristo sotto ciascuna specie in corpo, sangue, anima e divinità, la sola specie del pane permette di ricevere tutto il frutto di grazia dell’Eucaristia. Per motivi pastorali questo modo di fare la Comunione si è legittimamente stabilito come il più abituale nel rito latino. Il gesto della Comunione sotto le due specie, che non è necessario, è comunque più significativo dal punto di vista del “segno liturgico” e pertanto sarà raccomandato o permesso in determinate circostanze.
Dopo la comunione sacramentale si compie un doveroso ringraziamento, in cui si rinnovano gli atti di fede, di speranza, di carità, di adorazione, di offerta e redimento di grazie, per sé o coloro per i quali vogliamo pregare.

– effetti della S. Comunione –

1 – L’effetto principale della S. Comunione è l’intima unione con Cristo. La Comunione accresce la nostra unione a Cristo. Ricevere l’Eucaristia nella Comunione reca come frutto principale l’unione intima con Cristo Gesù. Il Signore infatti dice: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui» (Gv 6,56). La vita in Cristo ha il suo fondamento nel banchetto eucaristico: ciò che l’alimento materiale produce nella nostra vita fisica, la Comunione lo realizza in modo mirabile nella nostra vita spirituale. La Comunione alla Carne del Cristo risorto, «vivificata dallo Spirito Santo» conserva, accresce e rinnova la vita di grazia ricevuta nel Battesimo.
2 – La S. Comunione unisce tra di loro i credenti, quali membri dello stesso corpo mistico di Cristo. L’unità del corpo mistico nasce nell’Eucarestia: la Chiesa fa l’Eucarestia e l’Eucaristia fa la Chiesa. Coloro che ricevono l’Eucaristia sono uniti più strettamente a Cristo quindi Cristo li unisce tra loro affinché formino in un solo corpo: la Chiesa. La Comunione rinnova, fortifica, approfondisce questa incorporazione alla Chiesa già realizzata mediante il Battesimo. Nel Battesimo siamo stati chiamati a formare un solo corpo. L’Eucaristia realizza questa chiamata: «Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il Sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il Corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane» (1 Cor 10,16-17).
3 – La S. Comunione aumenta la grazia santificante e concede la grazia sacramentale e ci permette di vivere in modo conseguente, cioè, come persone nelle quali è presente Cristo come cibo e Cristo come maestro ed inoltre, proprio quale nutrimento dell’anima:

  • sostiene la vita soprannaturale, nutre e sostiene la vita spirituale;
  • fortifica e consolida lo stato soprannaturale della grazia, le virtù infuse e i doni dello Spirito Santo che l’accompagnano;
  • guarisce le malattie dell’anima cancellando i peccati veniali e le pene temporali e preserva dai peccati mortali. La Comunione ci separa dal peccato. Il Corpo di Cristo che riceviamo nella Comunione è «dato per noi», e il Sangue che beviamo è «sparso per molti in remissione dei peccati». Perciò l’Eucaristia non può unirci a Cristo senza purificarci, nello stesso tempo, dai peccati commessi e preservarci da quelli futuri. Come il cibo materiale del corpo serve a restaurare le forze perdute, l’Eucaristia fortifica la carità che, nella vita di ogni giorno, tende ad indebolirsi; la carità così vivificata cancella i peccati veniali: “A lei è perdonato perché ha molto amato”, disse Gesù alla Maddalena. Donandosi a noi, Cristo ravviva il nostro amore e ci rende capaci di troncare gli attaccamenti disordinati alle creature e di radicarci in lui: proprio per la carità che accende in noi, l’Eucaristia ci preserva in futuro dai peccati mortali. Quanto più partecipiamo alla vita di Cristo e progrediamo nella sua amicizia, tanto più ci è difficile separarci da lui con il peccato mortale. L’Eucaristia non è ordinata al perdono dei peccati mortali, questo è proprio del sacramento della Riconciliazione.
  • procura una grande gioia spirituale; quella che proviene dal saperci amati e scelti come tempio dal Cristo. Il proprio dell’Eucaristia è invece di essere il sacramento di coloro che sono nella piena comunione della Chiesa.

La S. Comunione è un pegno della beatitudine celeste e della futura resurrezione del corpo. L’Eucaristia è «pegno della gloria futura», pregustazione del banchetto celeste. L’Eucaristia è il memoriale della pasqua del Signore, dunque mediante la nostra Comunione all’altare veniamo ricolmati «di ogni grazia e benedizione del cielo». Nell’ultima Cena il Signore stesso ha fatto volgere lo sguardo dei suoi discepoli verso il compimento della pasqua nel regno di Dio: «Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio» (Mt 26,29). Ogni volta che la Chiesa celebra l’Eucaristia, ricorda questa promessa e il suo sguardo si volge verso «Colui che viene» (Ap 1,4). Nella preghiera, essa invoca la sua venuta: «Marana tha» (1 Cor 16,22), «Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,20), «Venga la tua grazia e passi questo mondo!» (Didachè 10,6). Della grande speranza dei nuovi cieli e della terra nuova nei quali abiterà la giustizia, non abbiamo pegno più sicuro, né segno più esplicito dell’Eucaristia. Ogni volta infatti che viene celebrato questo mistero, «si effettua l’opera della nostra redenzione» e noi spezziamo « l’unico pane, che è farmaco d’immortalità, antidoto per non morire, ma per vivere in Gesù Cristo per sempre ». (S. Ignazio di Antiochia, epistola agli efesini 20,2)

317378358_450115433947541_356913668494547737_nLa comunione spirituale è una pratica che consente di unirsi con Gesù presente nell’Eucaristia quando, animati da un vivo desiderio, si è nell’impossibilità di riceverlo sotto forma di Sacramento. L’autore de L’Imitazione di Cristo spiega: «Infatti questo invisibile ristoro dell’ anima, che è la comunione spirituale, si ha ogni volta che si medita con devozione il mistero dell’incarnazione e della passione di Cristo, accendendosi di amore per lui» (Lib. IV; cap. 10). «Questa comunione spirituale – insegna Sant’ Alfonso Maria de’ Liguori – si può praticare più volte al giorno, quando si fa l’orazione, quando si fa la visita al SS. Sacramento».
La comunione spirituale, a differenza di quella sacramentale, si può ripetere tutte le volte che si vuole, e può sostituire – ma non con la stessa efficacia – la comunione sacramentale. In merito, Padre Pio così risponde a una figlia spirituale: «Vi rammaricate che, per causa della malattia, siete costretta a rimanervi digiuna della santissima Eucaristia; ed in ciò vi comprendo e non vi do torto. Conviene rassegnarsi e non cessare di supplicar Gesù che venisse a visitarvi spiritualmente. La comunione spirituale, quando la sacramentale addiviene impossibile, supplisce in parte alla reale». Quali benefici porta? «La Comunione spirituale – scrive il card. Elia Dalla Costa (1872-1961), arcivescovo di Firenze – non ci fa ricevere realmente Gesù, ma ci dà un aumento di grazia, una forza nuova per preservarci dal peccato e per avere una più intima unione con Gesù Cristo.

 «Io sono il pane di vita. l padri vostri mangiarono la manna nel deserto e morirono. Questo è il pane disceso dal cielo, affinché chi ne mangia non muoia. Sono io il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno; e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. Discutevano perciò fra di loro i Giudei dicendo: ‘Come può darci a mangiare la sua carne?….Disse loro Gesù :Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è veramente cibo, e il mio sangue è veramente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me ed io in lui. Come il Padre vivente ha mandato me ed io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono: chi mangia questo pane vivrà in eterno» (Gv. 6,48-59)

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adhaéreat viscéribus meis: et præsta; ut in me non remáneat scélerum máculaultima modifica: 2020-11-14T14:17:20+01:00da seddaco
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