Teofori e necrofori

Voi gridate, voi esclamate, che colui, che vi ha calunniato, è un tristo, ed un infame, che parla per pura invidia, che è un uomo senza fede, e senza legge. Via, sia così. Ma questo sfogo guarisce forse la piaga del vostro cuore? E perché colui che è pazzo, e ha parlato male, volete voi essere così sciocchi, come lui, a difendervi, e a far conto di una indiscrezione, e di un trasporto di lingua scorretta? (…) Bisognerà dire, e ridire a tante persone, e a tante, che colui, che vi ha calunniati, è un bugiardo, è uno scellerato, senza coscienza; bisognerà gettargli addosso delle altre calunnie, per far credere che colui ha detto più bugie che parole; bisognerà rinvangar la sua schiatta, e metter fuori tutte le miserie della sua casa. E quì, eccovi imbarazzati con altri peccati, non essendo mai lecito il difendersi con altre calunnie e mormorazioni.
(“Pregi della Congregazione dell’Oratorio”, Venezia 1826, tomo II, pp. 185-186)

Per il calendario liturgico in uso, oggi ricorre il titolare della chiesa degli oratoriani di Palermo. È poca cosa dire che Sant’Ignazio di Antiochia sia morto ammazzato, perché non è stato freddato da un proiettile alla tempia, è stato sbranato dai leoni affamati che se lo sono mangiato vivo e cosciente. Il vescovo Ignazio non era un poveruomo che paga i propri sbagli, bensì un innocente che soffre ingiustamente. A imitazione di Cristo, il solo giusto che per primo ha sofferto per gli altri, così Ignazio martire ha dato la vita per la propria fede in Cristo. Non è sottile infatti la distinzione fra le tribolazioni portate dai propri errori e l’ingiustizia procurata da terzi o malasorte. Le letture proclamate nella liturgia odierna dicono qualcosa.

La prima lettura dal Siracide (51,1-12) ricorda il riparo, l’aiuto e la liberazione ricevuta da Dio: ha salvato il corpo dalla perdizione, dal laccio di una lingua calunniatrice, dalle labbra di quelli che proferiscono menzogna, dalla lingua impura e dalla parola falsa e dal colpo di una lingua ingiusta. La pericope si apre con le parole Ti loderò Signore, re, e ti canterò, Dio, mio salvatore e il salmo responsoriale (Sal 33) fa eco al testo sapienziale, poiché loda il Signore e invita tutti alla lode: Benedirò il Signore in ogni tempo, Magnificate con me il Signore, Gustate e vedete com’è buono il Signore. L’autore sacro veterotestamentario enumera più persecuzioni sofferte mentre esalta la salvezza del Signore. Passando al Nuovo Testamento le letture dischiudono meglio il senso. San Paolo scrivendo ai Filippesi (3,17-4,1) li esorta ad imitare autentici modelli di santità, ovvero atteggiamenti conformi a quanto proposto dagli Apostoli e non da altri. Infatti – dice San Paolo – con le lacrime agli occhi ve lo ripeto, molti si comportano da nemici della croce di Cristo, alla quale è stato inchiodato il peccato per morire lì e permetterci di rinascere a vita nuova. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi [i propri peccati] e non pensano che alle cose della terra. Se la prima lettura si apriva col tempo verbale al futuro, ecco la seconda affermare che la nostra cittadinanza è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo. La tensione escatologica risuona forte e chiara, tanto quanto lo è nelle beatitudini. È infine il brano dal vangelo di Giovanni (12,24-26) a dare la parola ultima e definitiva di Dio. Il chicco di grano per portare frutto deve morire: chi vuole garantirsi il benessere in questa vita, non si sta garantendo la vita eterna; chi vorrà essere «onorato» deve «seguire» il Maestro prendendo la sua croce (Mt 16,24) fino in cima al calvario: chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna (Mt 12,25). Sant’Ignazio volle essere quel chicco di grano, «frumento di Cristo macinato dai denti delle fiere».
Sull’esempio di sant’Ignazio di Antiochia amiamo i nostri nemici e preghiamo per quelli che ci perseguitano (Mt 5,44), perché ci danno modo di fare tanto. Il vescovo Ignazio fece sue le parole del brano di Vangelo chi vuole salvare la propria vita la perderà: «io perdo Iddio, se riesco a salvarmi. Mai più mi capiterà una simile ventura per riunirmi a Lui» (lettera ai romani).

Vi sono ben certi casi, in cui non solo è lecito il difendersi dalle calunnie, ma talora ci corre l’obbligo: come sarebbe, quando la persona, perdendo così la sua buona antica fama e riputazione, non potesse più operare per la salute dell’Anime, come un Vescovo, un Parroco, un Predicatore in certe circostanze; e l’ha pur fatto qualche volta S. Paolo a questo fine. Ma, parlando generalmente, il miglior partito per abbattere la calunnia, ed i calunniatori, si è, fidarsi di Dio, che saprà a tempo e luogo far le nostre difese, meglio assai, che non sapreste far voi; disprezzare i loro disprezzi, non darsi fastidio, e neppur degnarsi di guardarli, o di ascoltarli. Spreta evanescunt, diceva Tertulliano; e le calunnie disprezzate si risolvono in fumo, e questo fumo soffoca la calunnia nel cuore del medesimo Calunniatore. (…) Iddio lo fa parlare in tal guisa per purgare il mio cuore; mentre questo può servire di penitenza a’miei peccati. Prendiamola anche noi per questo verso. Noi tanto desideriamo, che ci siano perdonati i nostri peccati; ma non potendo ciò seguire senza qualche nostra penitenza, eccone una tutta a proposito. E noi vorremo ricusarla per la solo paura di perdere un poco di riputazione e di onore? (…) Il vero onore per noi è servir Dio, e non altro; tutto il restante è vanità.
(Opera postuma d’un prete dell’Oratorio di Savigliano, “Pregi della Congregazione dell’Oratorio”, Tipografia Andrea Santini e figlio, Venezia 1826, tomo II, pp. 186-187)

Teofori e necroforiultima modifica: 2020-10-17T22:27:00+02:00da seddaco
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