introibo ad altare Dei

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Tra coloro che si compiacciono della liturgia tradizionale compaiono alcuni che, per superficialità in tutto simile ad ignoranza, ricercano solo la forma esteriore. C’è chi boccheggia e sospira pensando alla musicalità del latino, senza perdere tempo a sfogliare solo qualche pagina di grammatica. E ci sono in numero consistente quelli che amano pavoneggiarsi facendo sfoggio dei capolavori d’arte tessile, cioè i paramenti liturgici tra XVI e XIX secolo. Pronti ad attorcigliarsi la lingua mentre celebrano, o a mettersi indosso colonie di cimici pur di farsi belli agli occhi degli altri, costoro non possono vivere interiormente quanto compiono esteriormente.
Accostando i testi dei messali di Giovanni XXIII e Paolo VI, magari servendosi di quelle edizioni bilingue degli anni ’60 con la traduzione a fronte, chiunque può sorprendersi ritrovando nella “messa antica” gli stessi testi della messa di oggi; solo con una piccola differenza: sono di meno e più brevi. Raffrontando l’ordinario della messa per esempio all’offertorio, o alla comunione del celebrante, si nota come sia venuti meno alcuni incisi e interi periodi, senza contare l’omissione di tutte le preghiere recitate sottovoce dal celebrante. La riforma liturgica ha – per così dire – sfoltito e snellito il rito della messa, eliminando parecchi gesti rituali, oltre alle parole non udite dall’assemblea. C’è poi una parte che non è stata accorciata, bensì completamente cancellata: le preghiere ai piedi dell’altare.

Col vecchio rito la messa inizia in sacrestia, poi davanti all’altare, nel nome della SS. Trinità (segno di croce), con senso di profonda umiltà si recita l’antifona: “Introibo ad altare Dei. Ad Dem qui laetificat iuventutem mea”. Quale gioia salire l’altare di Dio, a Dio che allieta la nostra giovinezza! Cos’è mai questa iuventútem? È la vita soprannaturale e spirituale operata in noi dalla Grazia divina, per mezzo della quale, è annientato l’uomo vecchio, schiavo del peccato. Io so quanti sono i miei peccati e lo sa anche Dio, senza bisogno che zelanti diffamatori formulino illazioni gratuite. L’ammissione del proprio peccato e l’invocazione del perdono di Dio, è quindi preceduta dalla recita del Salmo 42, che esprime la gioia e la fiducia nel Signore per accostarsi all’altare. Le parole del salmo ricordano pure il giusto atteggiamento per partecipare allo stupore dell’incontro: aprire il nostro cuore al Signore, al Dio di Misericordia, allontanando la noia o l’abitudine. Il peccato è un pesante fardello che affatica nel cammino. Come ascendere all’altare di Dio gravati da questo peso? Invocando il perdono di Dio e affidandosi alla sua misericordia.

Solo adesso viene l’atto penitenziale con la confessio culpae che è pure confessio laudis. Ecco la grande lezione del pubblicano: chiedere perdono al Signore dal profondo del cuore per essere degni di lodarlo. La triplice percussione del petto al mea culpa e l’inchino profondo durante l’intera recita, lascia trasparire anche esteriormente le disposizioni interiori. Restare in ginocchio e per di più inchinati, è atteggiamento di umiliazione, con il quale prega davvero tutta la persona e non solo la bocca. Il corpo esprime l’indegnità assieme alle labbra che chiedono pietà. Di seguito sono i ministranti con i fedeli che a loro volta ripetono il confiteor dinanzi a Dio e al suo ministro.

Dopo la formula assolutoria, prima di ascendere all’altare il celebrante indirizza a Dio alcune acclamazioni: sono invocazioni dell’anima che tende al Creatore, che cerca il Suo volto: sguardo di pace e di salvezza. Come Gesù salì sul Golgota, il celebrante sale i gradini dell’altare esclamando: “Dominus vobiscum”, saluto usato dall’Antico Testamento e continuato nel Nuovo. Allora avvolti dal silenzio di rispetto e contemplazione si vive momento per momento il santo sacrificio dell’altare.

Verrò all’altare di Dio,
al Dio della mia gioia, del mio giubilo.
A te canterò con la cetra, Dio, Dio mio.
Perché ti rattristi, anima mia,
perché su di me gemi?
Spera in Dio: ancora potrò lodarlo,
lui, salvezza del mio volto e mio Dio. (Sal 42,4-5)

introibo ad altare Deiultima modifica: 2020-10-17T13:50:31+02:00da seddaco
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