sicut et nos quoque dimittimus

Una settimana fa mi è stato chiesto con amarezza: «A Palermo non mandano nessuno?». Per non deludere attese e speranze riposte nella Congregazione, ho deciso di offrirmi io volontario per immolare i missionari del Nuovo Mondo e quelli dell’Estremo Oriente a un tempo. Compiuta l’esplorazione geografica di ogni angolo della Terra, bisogna guardare al resto del sistema solare. Una volta scoperta l’acqua su Marte ritengo si possano sperimentare lì le ultime frontiere dell’evangelizzazione, in modo da procacciare qualche vocazione anche per Palermo. Superato l’approccio dei balli in piazza, si ripresenteranno inevitabilmente i problemi di acculturazione e inculturazione incontrati secoli addietro. Oggi infatti i cattolici (italiani, francesi, spagnoli, inglesi…) che nel mondo professano la medesima fede, si esprimono in termini diversi dettati dalle proprie conferenze episcopali. La lingua è come un organismo in continua evoluzione, per cui dire «come “anche” noi li rimettiamo ai nostri debitori…» dovrebbe aiutare Dio a capire meglio ciò che gli stiamo dicendo. Tutto ciò a cura di scienziati della liturgia, menti eccelse che si sentono superiori a San Pio V e San Giovanni Crisostomo messi assieme, di modo che qualche anno di sperimentazione possa soppiantare secoli di tradizione. In un idioma si prega l’unica preghiera che Gesù ci ha insegnato in un modo, e altrove in un altro. Non solo, ma ospitando in chiesa sacerdoti diversi per i matrimoni, si constata come ognuno cambi liberamente le parole scritte sul messale. Chi è per questa forma di liberalizzazione del linguaggio liturgico, non dovrebbe avere difficoltà ad accettare pure la lingua dell’unità della Chiesa (il latino). Ma tradurre il Padre nostro in marziano sarà una grande sfida. Confidiamo che il primo extra-terrestre della storia, Gesù, ci aiuti ad accrescere le competenze per divenire veri professionisti della Messa.

Padre Tomas Tyn O.P., in una delle sue numerose conferenze, ci ricorda che «senza amore per la tradizione non c’è cristianesimo» e osserva: «Non c’è dubbio che, studiando esattamente la lettera dei testi conciliari, potrebbe anche insinuarsi questa possibilità di interpretare in contrasto con la tradizione cattolica e non c’è dubbio che così alcuni, purtroppo molti della corrente modernista, hanno interpretato proprio così i testi conciliari. Ma è così che il Concilio ha voluto essere interpretato? Io mi permetto di dire decisamente no. Il Concilio continuamente propone la necessità di riallacciarsi alla tradizione cattolica di tutti i tempi e lo stesso Papa Giovanni XXIII convocando il Concilio insiste col dire che il Concilio deve aggiungersi a tutta una serie di Concili precedenti e molto spesso anche i testi conciliari adoperano la dicitura “vestigia Concilii Tridentini et Vaticani primi prementes” cioè premendo, esattamente rifacendo le vestigia, le orme, le tracce dei Concili di Trento e Vaticano I, noi insegniamo questo o quest’altro».
[ AA.VV., Introibo ad altare Dei, Ed. Fede&Cultura, (posizioni nel Kindle 233-244) ]

sicut et nos quoque dimittimusultima modifica: 2020-09-22T09:29:14+02:00da seddaco
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