in morte di una Congregazione

L’Oratorio di Palermo è il terzo sorto dopo Napoli e Roma? Non esattamente, in quanto fu preceduto dalla casa di San Severino – presto ceduta ai barnabiti – e dalla Congregazione di Fermo, cui seguì nelle Marche Camerino. Nel gennaio del 1597 arrivò per la casa di Fermo il riconoscimento apostolico del sodalizio presbiterale, dal 1586 eretto sotto l’autorità dell’ordinario. Il breve Ex quo divina Maiestas arrecava la formula «Congregationis Oratorii nuncupata, ad instar eius quae in alma Urbe extitit SS. Mariae et Gregorii», la medesima che sarà ripresa alla lettera per le successive fondazioni, a cominciare da Palermo in ottobre dello stesso anno. Promotore della fondazione fu il padre Flaminio Ricci, nato a Fermo ma entrato nell’Oratorio romano, primo rettore dei girolamini a Napoli, da dove seguì con attenzione i primi passi della congregazione, inviando suoi progetti per l’edificazione della casa a Fermo. La prima pietra del nuovo tempio fu posta il 9 maggio 1594. Il 2 giugno 1607 la chiesa venne consacrata e benedetta assieme all’Oratorio sottostante, dall’arcivescovo mons. Alessandro Strozzi. Nello stesso mese la salute di Flaminio Ricci iniziò a declinare, lo affliggeva sempre una febbre intermittente, per cui lasciata Napoli non si mosse più da Fermo.
Durante la sua permanenza a Fermo strinse un rapporto di paternità spirituale col giovane Antonio Grassi, il quale in seguito attesterà una grazia di guarigione ricevuta dall’anima defunta di p. Flaminio. Membro di una facoltosa famiglia, nel 1609 Vincenzo Grassi entrò nella congregazione di Fermo, prendendo il nome di Antonio; fu ordinato sacerdote nel 1617 e dal 1635 fu ripetutamente eletto preposito della Congregazione di Fermo per tutta la vita. Fu un celebre confessore, un ascoltato consigliere e mediatore tra fazioni in conflitto, eccellente catechista e pio pellegrino. Fu beatificato il 30 settembre 1900 da papa Leone XIII. Nel martirologio romano si legge al 13 dicembre: «A Fermo nelle Marche, beato Antonio Grassi, sacerdote della Congregazione dell’Oratorio, uomo umile e pacifico, che con il suo esempio spinse fortemente molti confratelli all’osservanza della regola». Dai primordi della sua storia, nella Congregazione di Fermo fioriva un germoglio di santità, riconosciuta dalla Chiesa solo dopo duecentoventinove anni; per la precisione quando la Congregazione di Fermo non esisteva più…

Dissi ancora “prodigiosa conservazione”, per la facilità, con cui sembra potersi distruggere la Congregazione; perché le persone, che la compongono, hanno la libertà di uscire a loro talento; e perché alla mancanza de’Soggetti non possono sostituirsi altri in loro vece, per l’indipendenza che passa fra l’una e l’altra Congregazione. Ciò non ostante sussiste in tanti luoghi, come si vede, e sussisterà mai sempre (come si spera) l’Instituto dell’Oratorio, in virtù della promessa fatta da Gesù Cristo al S. Padre (…)
(“Idea degli Esercizj dell’Oratorio instituiti da S. Filippo Neri”, ed. 4^ Veneta 1776, in “Pregi della Congregazione dell’Oratorio”, Tipografia Andrea Santini e figlio, Venezia 1826, tomo II, p. 310)

Ufficialmente l’Oratorio di Fermo si estinse con le fatidiche soppressioni sabaude. Tuttavia si ha sempre un beneficio d’inventario da sanare con un po’ di ricerca, a causa delle altalenanti vicende che travagliano tradizionalmente le case di padri filippini. Acquiescenza e risuscitamento sono fenomeni che paiono congeniti a tale istituto. L’autore dei Pregi disse bene già allora, in quanto abbandonare il proprio ordine monastico per i religiosi richiede un passaggio (la dispensa dai voti) che evitano i padri dell’Oratorio, non vincolati da tale professione. Lo stesso autore evidenzia pure che la facilità con cui si possa abbandonare la Congregazione, coincide con la difficoltà a trovare il rimpiazzo. Infatti in una provincia religiosa che conta decine di padri e fratelli, l’improvvisa mancanza di qualcuno può essere prontamente supplita con la mobilità di un altro: cosa impossibile se ciascuna casa è autocefala e vive di vita propria. Nelle Marche e in Sicilia gli Oratori sorsero come funghi in un campo, oltrepassando nel XIX secolo in ambedue le regioni il numero di quaranta congregazioni nello stesso momento. Ciascuna presenza a suo tempo svanì più o meno con la stessa facilità con cui sorse, per non risorgere più; salvo le case storiche per le quali si fece il possibile per riaprirle.
I padri filippini sono da sempre istituto clericale. Ai sacri ministri nella Chiesa è affidato il munus regendi (governo), non al fine di accasarsi con la migliore soluzione praticabile e garantirsi la vecchiaia come se la consacrazione fosse un’assicurazione sulla vita. Connaturata alla chiamata alla vita, la prima vocazione è ad essere figli di Dio, uomini che il Signore volle mettere a capo della creazione (Gn 1,28). Il Padre eterno «plasmò l’uomo con la polvere del suolo» (Gn 2,7), sputò sulla terra e ne fece del fango per plasmare la sua creatura più importante, la quale vide che «era cosa molto buona» (Gn 1,31). Perciò a nessun essere umano – anche uomini di Chiesa – dovrebbe sembrargli male stimarsi un “fango”, anzi io credo sia un esercizio di umiltà da compiere ogni mattina guardandosi allo specchio. Il termine “umiltà” non a caso ha la stessa radice di humus, in latino terra. Secolari e regolari, anche i padri dell’Oratorio, dovrebbero dirselo ogni mattina («sono un fango»), ricordando che l’umiltà è verità, poiché riconosce nulla più della realtà di ciò che siamo.

 Se un soggetto non facesse stima della Congregazione sua Madre, non avrebbe stima delle sue Regole; non istimando le Regole, poco si curerebbe di osservarle; e se non le osserva, ecco la sua perdizione. Non istimando la Congregazione, perderebbe pur anche la stima degli altri suoi Fratelli; si metterebbe a pericolo di riuscir malamente, come riuscì Giuda, il quale allora cominciò a declinare dalla Perfezione, quando cominciò a perdere la stima degli altri Apostoli suoi compagni, e poi dello stesso suo Divin Maestro; tanto che giunse a venderlo a vilissimo prezzo. (…) Procurino dunque tutti i Padri e Fratelli di mantenere coll’esatta osservanza dell’Instituto, colla loro buona vita, e santi costumi alla lor Madre questo sì bel Pregio; stiano molto avvertiti di non farle perdere il credito.
(“Pregi della Congregazione dell’Oratorio”, Venezia 1826, tomo II, pp. 167-168.170)

Un antropologo – naturalmente non credente – non potrebbe fare a meno di notare la coincidenza della struttura “Oratorio di San Filippo” con un’altra aliena ma – secondo la loro logica – comparabile. I clan scozzesi erano accomunati dalla lingua e abitavano ciascuno una propria terra, raccogliendo al proprio interno famiglie tra loro imparentate. Se si equiparasse una federazione di Oratori a un clan, avremmo presto fatta la “Congregazione degli Highlanders”, il cui leggendario motto dice tutto: “ne resterà soltanto uno”, l’ultimo immortale sopravvissuto a ben più di una «generazione perversa e degenere» (Fil 2,15).

in morte di una Congregazioneultima modifica: 2020-07-22T21:45:01+02:00da seddaco
Reposta per primo quest’articolo