Comunitas maxima poenitentia

San John Henry Newman, scritto n. 25 (parte V) del 18 agosto 1856
[Il padre dell’Oratorio] è un «sacerdote secolare», ma non solo: è un sacerdote secolare che «vive in comunità». Consideriamo le implicazioni della parola “comunità”. Vivere in comunità non è semplicemente stare in una casa tutti insieme, altrimenti anche gli ospiti di un albergo formerebbero una comunità. Non è neanche vivere e consumare i pasti insieme, altrimenti anche una casa dove si sta a pensione sarebbe una comunità. (…) Vivere in comunità significa formare un solo corpo, in modo da prevedere di agire e reagire come una sola persona. (…) Un Oratorio è un’individualità. Ha una volontà unica e una sola azione; in tal senso è una comunità. Ma è ovvio che una tale unione di volontà e intelletti e opinioni e comportamenti non può essere raggiunta senza concessioni considerevoli del giudizio personale da parte di ogni membro della comunità. È dunque una conformità non accidentale, non di natura, ma di proposito soprannaturale e di dominio di se stessi. È l’esposizione e la pratica di un grande consiglio, che porta con sé una grande santificazione, secondo la massima che è diventata ormai quasi proverbiale nell’Oratorio: «Vita communis mortificatio maxima».
Ora, io dico, tale conformità di volontà e azione, basata sì sugli affetti umani, limitata al luogo e alla persona, ma che, entro i suoi limiti, si eleva alla dignità piena dell’obbedienza religiosa ricca di abnegazione che costituisce uno dei tre voti dei regolari, se da un lato forma il vincolo tra i membri dell’Oratorio trasformando un semplice albergo in una comunità, dall’altro è anche indice speciale della sua vocazione e strumento speciale della sua perfezione. Ecco perché affermo che non tutti hanno il dono di saper vivere con gli altri.

Se è vero che le vie del Signore sono infinite, è pur vero che dall’osservazione della realtà si evincano delle generalità per le quali, senza nulla togliere alle “vocazioni adulte”, diciamo che l’attitudine alla vita comunitaria non si inventa in tarda età. Henry Newman nel suo viaggio in Italia volle conoscere le diverse forme di vita religiosa, alla ricerca della migliore formula praticabile in Inghilterra. L’esperienza di vita apostolica sarebbe iniziata assieme ad altri già formati alla vita collegiale, al convitto, a vivere in istituti come i college inglesi. Tuttavia la preoccupazione del fondatore era di andare oltre la convivenza sotto uno stesso tetto e oltre il sedersi a un’unica tavola; cose alle quali erano già abituati i compagni cresciuti in ambienti comuni. Si può riconoscere in Newman la stessa esperienza di San Filippo che abitò trent’anni a S. Girolamo della Carità, convivendo con altri presbiteri che non consumavano neanche pasti assieme e pagavano l’alloggio. Il modello ideale al quale tendere erano le prime comunità cristiane guidate dagli apostoli: “La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32); non c’era da inventarsi niente, secoli dopo Cristo si era illuminati dall’esperienza originale fissata nella Sacra Scrittura. Certo è che oggi come ieri non è tutto rosa e fiori, perché sono gli stessi Atti degli apostoli, oltre alla patristica dei primi tempi, ad attestare gli scambi di vedute tra Paolo e Pietro e Barnaba e Giacomo …

La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. (Rm 12,9-10)

Ricordo una sera un sacerdote che in un “insegnamento” ricordava l’origine dell’attuale frazionamento della chiesa orientale e poi occidentale, affermando che divisioni e scontri fossero la cosa più naturale del mondo. Effettivamente è così, ma concludere che tutti abbiano ragione, onestamente mi spaventa molto: il confronto è per giungere a soluzioni che se prevedono possibilità diverse, è solo perché non intaccano la Verità. Diversamente si ha chi è nel giusto e chi è in errore; l’incapacità di distinguere il giusto e lo sbagliato, il bene dal male, il vero dal falso, produce danni che poi tocchiamo con mano. Indubbiamente occorre senso del giudizio alla ragione illuminata dalla fede.

Per il resto, fratelli, state lieti, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi. Salutatevi a vicenda con il bacio santo. Tutti i santi vi salutano. (2 Cor 13,11-12)

San Filippo Neri fondò l’Oratorio e, nella comunità di presbiteri che poi si costituì, non volle fissare regole precise per la vita comunitaria, esse sarebbero state impostate democraticamente dai membri. L’unica imprescindibile norma che doveva essere a principio di ogni altra, per San Filippo era la carità che è “vincolo di perfezione” (Col 3,14). Se davvero si opera guidati dalla virtù teologale della carità, si riducono parecchio i margini di errore.

Vestitevi dunque come eletti di Dio, santi e diletti, di viscere di misericordia, di benignità, di umiltà, di mansuetudine e di pazienza, sopportandovi gli uni gli altri e perdonandovi, se uno ha qualche lamentela contro un altro; e come Cristo vi ha perdonato, così fate pure voi. E sopra tutte queste cose, rivestitevi dell’amore, che è il vincolo della perfezione. (Col 3,12-14)

Quando sotto uno stesso tetto si trovano compresenti caratteri e orientamenti diversi, come mantenere l’unità? Il problema si pone per la fraternità che lega un gruppo e necessariamente quando si tratta di collaborare; per il resto in un condominio semplicemente ci si ignora. Provando a ipotizzare la situazione di un povero cristiano che si sente in tutto vessato e maltrattato, cosa può fare per sopravvivere? Ci può essere chi si diverte a fare la parte del leone e chi preferisce vivere più a lungo da pecora, pascolata dal Signore, poiché – diceva p. Antonio – di “gallo” ce ne può essere uno solo. Nella nostra casa in cortile siamo arrivati ad avere parecchi animali (scoiattoli, uccellini cocoriti e inseparabili, pappagalli, cani e gatti…) più quelli in campagna (galline, galli, faraona, oche…), per essere “animalisti” e non «animaleschi» come sentii dire… Rendere la casa una specie di zoo era una passione condivisa, ma certo non è questo che certifica la vocazione soprannaturale. La capacità di mortificare il proprio io, rinunciare al proprio ego, secondo quanto espone sopra Newman, è il primo imprescindibile indice di vocazione religiosa.

Io dunque, il prigioniero per il Signore, vi esorto a camminare nel modo degno della vocazione a cui siete stati chiamati, con ogni umiltà e mansuetudine, con pazienza, sopportandovi gli uni gli altri nell’amore, studiandovi di conservare l’unità dello Spirito nel vincolo della pace. Vi è un unico corpo e un unico Spirito, come pure siete stati chiamati nell’unica speranza della vostra vocazione. (Ef 4,1-4)

Chi si sente una povera vittima, se ritiene di essere stato chiamato in un certo luogo, a un certo stato di vita, può farsi coraggio per soffrire e offrire: il Signore non ci chiede sforzi al di sopra delle nostre possibilità. C’è stato un confratello che nella sua omelia per l’unica domenica della Santa Famiglia che celebrò con noi, diceva che la comunità religiosa può «soltanto scimmiottare» l’affetto vero che spira nella sua propria famiglia; precedentemente ci aveva già detto a tavola che da noi è «solo falsità e ipocrisia». Lo stesso filippino ha definito un incapace il padre dell’Oratorio che attualmente si prende cura di noi a distanza. Questo padre dove ha lasciato San Filippo? Cosa vive della parola di Dio? Che fine ha fatto quel “vincolo di perfezione” nell’organismo intersoggettivo? La conformità intenzionale al bene comune che diceva Newman…? Nel corso degli anni ci ha pensato? Perché non si è ravveduto per tempo?

Sia rimossa da voi ogni amarezza, ira, cruccio, tumulto e maldicenza con ogni malizia. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo. (Ef 4,31-32)

Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri! (Gal 5,14-15)

Comunitas maxima poenitentiaultima modifica: 2020-06-09T11:59:25+02:00da sedda-co
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