Secretum meum mihi

Dopodomani alle 17:30 il nostro Papa Francesco chiuderà il mese mariano pregando nei giardini vaticani in mondovisione e in collegamento coi principali santuari mariani del mondo. Ultimamente egli ha preso la sofferta decisione di allontanare Enzo Bianchi dalla sua comunità di Bose. Il caro Enzo Bianchi era pure un amico dell’arcivescovo Arrigo Miglio, invitato alla Facoltà Teologica di Cagliari un paio di volte, per presentare il magistero del Papa. Un Sommo Pontefice che si sente ispirato a scrivere un enciclica intitolata Evangelii gaudium io mi chiedo personalmente da cosa sia mosso. E io sono dell’opinione che sia spinto a proclamare la gioia cristiana, partendo dalla constatazione della triste realtà che ci circonda, alla quale non dobbiamo rassegnarci. Cinque secoli fa lo Spirito Santo suscitava nella Chiesa il “santo della gioia”, per l’appunto San Filippo Neri. Il “buffone di Dio”, come sarà chiamato più tardi, non era buono solo per giocare a piastrella coi bambini o fare il pagliaccio in pubblico; dice Newman che fosse pure “consigliere di pontefici”, poiché padre Filippo Neri aveva guadagnato la fiducia di alcuni Papi che volevano confessarsi e consigliarsi con lui. Tuttavia il Padre non sperimentò solo la benevolenza dalla Sede Apostolica, ma pure alcune persecuzioni. Ricordando solo le due principali, troviamo anzitutto il cardinal Rosario (vicario generale di Roma) che tenne p. Filippo sospeso a divinis per due settimane, intimandogli di finire la sua attività, più i due domenicani inviati in incognita da Papa Pio V a sentire i sermoni dell’Oratorio… La biografia di San Filippo narra non poco riguardo alle tribolazioni che soffrì proprio da parte della Chiesa e, conoscerle, ci offre molta meditazione.

“Ecclesia semper reformanda” è un principio senza scadenza. San Filippo si colloca storicamente nell’epoca di riforma cattolica della Chiesa, non come un fungo spuntato per caso, ma come un buon interprete del rinnovamento promosso dal Concilio di Trento. Sono sue alcune significative parole fissate e tramandate: «è possibile restaurare le umane istituzioni con la santità, non restaurare la santità con le istituzioni». In soldoni diremmo che la conversione deve partire da sé stessi, per rendere possibile il cambiamento anche fuori di sé. Altrimenti detto non c’è riforma della Chiesa che si possa felicemente realizzare senza la santità di chi la promuove; per verificare quante sono state poi le fioriture dell’epoca tridentina basta sfogliare l’emerologio romano.
Ad oggi non si è ancora persa memoria di quei giganti del loro tempo che furono San Francesco e San Domenico, non per riempirsi la bocca ma per l’esempio che effettivamente rappresentano. Era un tempo in cui la cristianità poteva realmente andare in rovina per via delle correnti ereticali che confondevano e traviavano il popolo cristiano, oltre alla condotta morale del clero diffusamente riprovevole. Fatti che conosciamo dai libri di storia e tuttavia destano perennemente scandalo e santa indignazione quando diventano notizie di cronaca sul proprio parroco o sacerdote di fiducia… In questi casi che si sperimentano direttamente, si propone a ciascuno l’esempio dei santi.

La cosiddetta pentecoste di San Filippo Neri, ovvero il fenomeno della trasverberazione del suo cuore (alle catacombe di San Sebastiano nel 1544 la sera prima di Pentecoste) che gli ruppe due costole, è un evento di portata straordinaria per diversi motivi. Devo dire di non avere ancora mai sentito parlare da nessuno, dell’aspetto che più mi impressiona di questo evento. Da quel momento il giovane Filippo, laico e appena trentenne, viene toccato specialmente e tangibilmente dalla grazia di Dio, con un fenomeno non comune neanche tra gli altri santi della Chiesa. Vivrà con la consapevolezza di essere un’anima prediletta, in certo modo privilegiata da Dio, per i restanti cinquant’anni della sua vita: non col ricordo di quella sera, col cuore effettivamente ingrossato al punto da dargli accaloramenti e udirsi pulsare a distanza. In forza di questa consapevolezza, per i suoi meriti, umanamente avrebbe potuto far valere le sue ragioni, con superiori e subordinati, avrebbe potuto ammonire e rimproverare con tutta l’autorevolezza data dalla propria santità… Invece padre Filippo visse la sua condizione “privilegiata” con umiltà esercitata nell’obbedienza, nascondimento, modestia… Durante gli undici pontificati vissuti nella città eterna, San Filippo non condannò mai pubblicamente gli errori di alcun pontefice, non tacciò mai di eresia la santa sede, non aizzò il popolo di Dio contro i suoi pastori, mediante web-radio, canali youtube, libercoli di editori venduti a buon mercato. Simili atteggiamenti erano profetati da San Paolo quando diceva: «verranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge; perfino in mezzo a voi sorgeranno alcuni a parlare di cose perverse, per attirare i discepoli dietro di sé» (At 20,29-30); San Filippo invece preferì la santità, scelse la Chiesa Cattolica e dispiace che liturgicamente venga celebrato da persone che non vogliono essere parte della stessa Chiesa.

Ma una notte, la vigilia della Pentecoste del 1544, mentre pregava ardentemente in un andito, in una oscura celletta delle catacombe di San Sebastiano «apparve al divoto uomo un globo di fuoco, il quale poi entrò per la bocca nel petto; onde in un subito soprapreso da così gran fuoco d’amore, che non lo potendo soffrire, si lasciò cadere in terra, e a guisa di uno che va cercando refrigerio, si slacciò dinanzi al petto per temperare in parte quella gran fiamma che vi sentiva (…) Mettendosi poi la mano in petto, si trovò dalla banda del cuore un tumore alla grossezza di un pugno, non vi sentendo dolore, né puntura di sorte alcuna, né per allora, né mai» [P.G. BACCI, Vita di S. Filippo Neri, cap. VI, Torino 1659, p. 13, in RITA DELCROIX Filippo Neri Ed. San Paolo, Milano 2011, pp. 59]

Secretum meum mihiultima modifica: 2020-05-28T10:29:33+02:00da sedda-co
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