Rapporti non matematici

Negli anni in cui svolsi l’esperienza di [mini-]arbitro FIP misi le mie considerazioni nero su bianco, per sfogarmi a modo mio. Non so bene in che senso, ma in fondo è stata pure un’esperienza utile.


I soggetti componenti dello sport, lo sappiamo bene, sono giocatore, allenatore, dirigente e arbitro. Ce ne sono poi anche altri che fanno parte delle squadre ma non ci riguardano. Ognuno di essi vive la sua attività nell’ambito dello sport in dimensioni completamente diverse e il fatto di non comprendersi a vicenda è un grosso ostacolo. L’arbitro è il secondo più importante, è la seconda figura sportiva, poiché viene subito dopo il giocatore. Infatti senza giocatore non può esserci gioco e appena c’è il gioco è necessario che ci sia qualcuno che lo preservi. Per principio se non ci fosse il rispetto di regole non si potrebbe distinguere un gioco da un altro e si farebbe “pallatutto”. Le altre figure non sono indispensabili allo svolgimento, puro e semplice, del gioco. Solo nella partita si aggiungono tutti gli altri soggetti entrano in azione: allenatore, dirigente, accompagnatore, medico, massaggiatore, U.d.C., commissario, scorer.

Fra ognuno di essi si stabilisce per forza un certo rapporto, dovuto al fatto che entrano sempre in relazione tra loro. Descrivere queste relazioni con obiettività è molto difficile, si tratta di riconoscere i propri errori prima di far notare quelli degli altri. È’ per questo stesso motivo che avere una condotta leale nei confronti della controparte, veramente improntata allo spirito sportivo è difficile. Quando questi legami non sono felici si mette a dura prova anche quel concetto di sport inteso come divertimento e socializzazione presentato dall’inizio. E, dopo una prima soddisfazione sadica, va maturando nelle persone stesse un sentimento di amarezza e dispiacere, nei confronti dell’intera sfera sportiva. Alla base di una serena convivenza sta prima di tutto un civile rapporto. Migliore è l’atteggiamento più sana è l’aria che si respira nel mondo dello sport, influenzando in meglio anche lo stato d’animo dei suoi componenti. Il rapporto può migliorare se ognuno si sforza di comprendere il ruolo dell’altro e vivendo il rispetto reciproco, che porta a una fattiva collaborazione.

È valido quanto abbiamo detto sinora sull’intera figura arbitrale, si tratta di vedere come interagisce con le altre. Proviamo a esaminare i casi uno ad uno, solo dalla parte della seconda figura sportiva.

ARBITRO-GIOCATORE

Ciò che abbiamo detto sin qui non è molto rasserenante, le battute sui giocatori non sono state rosee. Abbiamo detto che ci sono dei punti che accomunano l’atleta giocatore a quello arbitro, ma ce ne sono anche altri che lo discostano. Abbiamo parlato della preparazione atletica e dei fondamentali come punti di incontro e del lavoro di concetto come punto divergente. Il giocatore si dedica più dell’arbitro alla preparazione fisica, che è di precipua importanza, prima ancora della tattica più teorica, ma l’arbitro cura molto di più l’aspetto razionale. Studiarsi il regolamento tecnico del gioco, avere le nozioni fondamentali del regolamento esecutivo e di quello CIA. Il raffronto del fisico è una cosa subdola che non sta in piedi, è un luogo comune che non ha riscontro nella realtà; snello, alto e robusto da una parte e appesantito e impedito dall’altra.

Quello arbitro-giocatore non è il peggiore dei rapporti. In campo l’arbitro non concentra la sua attenzione su quello che sarebbe il protagonista della partita, lo guarda dal petto in giù. Gli interessano i suoi errori non la sua bravura e il giocatore deve accettare questo “smontaggio” delle suo talento. Fra il giocatore e l’arbitro c’è il timore referenziale e al contempo la strafottenza. Le due cose dipendono da fattori che non verrebbero mai alla mente: età fisica e mentale. A seconda di chi ci si trova davanti, a seconda che sia più grande o più piccolo i due soggetti si pongono in due differenti posizioni nell’interazione. L’età fa la differenza nell’ottenere il rispetto e nel non sentirsi suggestionati. Ma possiamo dire che l’aspetto esteriore, poiché non si conosce l’età cronologica certa, da questo punto di vista, sia la cosa più importante. Dipende dalle due persone, ma come già detto l’arbitro impugna il coltello dalla parte del manico e non deve subire certi atteggiamenti. Se da una parte il compito dell’arbitro è rilevare gli errori dei giocatori, l’astuzia del giocatore sta nel mascherarli. Quando riesce questa furberia si vedono bei sorrisi stampati sulle labbra e ghigni agli avversari, le risate beffarde citate in precedenza.

ARBITRO-ALLENATORE

È’ il rapporto più falso e ostile che ci sia. La buona educazione è rara a trovarsi e spesso è finta, è un rapporto doppiogiochista. Per definizione quasi impossibile, ma non bisogna stancarsi di voler bene a questo mondo. Anche per l’allenatore è tutto vero quanto abbiamo detto finora. Chiedono spiegazioni per i fischi o ci rivolgono la parola per qualsiasi motivo e alzano la voce appena ci allontaniamo così da non poter controbattere. Ci seguono per tutta l’area di panchina gesticolandoci alle spalle, tanto per fare scena. Quando sono persone moralmente oneste ci mandano a quel paese in faccia, altrimenti si vedono bei sorrisi a trentasei denti e strette di mano. Saluti a fine e inizio partita e “a mai più rivederci”. Basta voltare le spalle per sentirsi dire ogni sorta di bestemmie. Raccontano di episodi della partita a commissari e designatori inventando e rigirando i fatti a loro favore. Al termine di una partita, a meno che il divario non sia abissale, difficilmente non ci si sente rimostranze di ogni genere e specie. I più bravi hanno sempre una risposta pronta e utilizzano frasi fatte. Replicano ad alta voce e con insistenza perché li senta il pubblico e ribattono fischi per fiaschi. Anche se li si lascia l’ultima parola bisogna preoccuparsi che non alzi la voce dopo che si siamo allontanati. Tutto questo è di straordinario effetto sul pubblico che viene eccitato e fa perdere di credibilità l’arbitro; per questo non bisogna permetterlo.

Come già detto l’arbitro non deve subire passivamente le aggressioni dell’allenatore ma deve controbattere, anche alzando i toni, e prendere i giusti provvedimenti. L’allenatore conosciuto notoriamente per i suoi atteggiamenti è ben inquadrato da tutti gli arbitri, che si scambiano informazioni, e prima o poi sconterà la sua pena.

Ma comunque c’è sempre un po’ di buono in tutti noi e va detto che in certe occasioni qualcuno tiene atteggiamenti degni di un campo sportivo. Può capitare a volte di ricevere anche complimenti o un sorriso sincero ma niente di più. Poi se la bravura fa scalpore hanno seguito anche telefonate ai designatori, ma…

Una delle cose di cui l’arbitro può stare tranquillo è l’indiscusso primato nella conoscenza del regolamento. Da parte degli allenatori è molto scarsa. Ciò lo porta a non comprendere certi fischi che devono essere pertanto spiegati, come già detto al capitolo regolamento. Anche quando conoscono alcuni i principi base del testo, che poi riguardano solo il gioco in sé, come i contatti, non sono neanche in grado di esprimerli o di spiegarne il perché. Sanno che se avviene “questo” è fallo di tizio. E questa conoscenza non è neanche successiva a un lavoro di studio ma spesso e volentieri a spiegazioni ricevute da arbitri stessi o altri. Ciò che condivide l’arbitro con l’allenatore è l’interesse tecnico anche se in modo diverso. Infatti, il primo, non concentrando troppo l’attenzione sul singolo giocatore tende a lasciar perdere la tecnica e ha un occhio superficiale in questo senso. L’interesse tecnico dell’arbitro è appunto più teorico. Mentre l’allenatore vede concretamente e indica ai giocatori cosa e come fare certe mosse e non lo legge descritto. Il gusto per il gioco è certamente l’unica cosa che li fa ritrovare in un stesso sport.

L’agguerrimento degli allenatori in campo, che c’è anche al di là dell’arbitro, è dovuto al desiderio di vincita della propria squadra. L’allenatore fa tifo a modo suo strepitando ed esultando, l’arbitro non è mai minimamente coinvolto. Perché? Il risultato di una partita per una squadra è la gratificazione dei suoi sforzi in allenamento o al contrario la penitenza per aver lavorato male o non abbastanza. Per l’arbitro questo non c’è e si deve sforzare di capire le ragioni dell’allenatore. Comunque è chiaro che tutto ha un limite.

Il giocatore e l’arbitro sono gli unici personaggi che hanno bisogno di raggiungere un certo stato di concentrazione per erogare la prestazione migliore possibile. L’allenatore invece seguendo esternamente il gioco non ha bisogno di concentrarsi e riesce molto bene a distrarre gli altri. Anche questo tipo di atteggiamenti sono pesantemente sanzionati, perché benché ci siano cose più gravi delle urla, se per una partita intera s’infastidisce in questo modo è umana la reazione di difesa.

ARBITRO-DIRIGENTE

È un rapporto molto formale e limitato a certi momenti. L’arbitro relaziona, in campo, con i dirigenti al ricevimento, alla consegna dei documenti, se ci sono comunicazioni, eventualmente durante la partita al tavolo. Una stretta di mano e la firma della lista R è il massimo dell’interazione. L’accompagnatore ha diritto a prendere visione del referto alla fine del periodo e a chiedere, con debita cortesia, spiegazioni agli arbitri.

Diversamente nelle categorie superiori quando oltre all’accompagnatore delle squadre si ha il dirigente addetto arbitri, questo si preoccupa di seguire gli arbitri nei loro spostamenti dal campo all’albergo, al ristorante, all’aeroporto e altrove. In più, ricordiamo, che il dirigente addetto arbitri è il primo responsabile dell’incolumità degli arbitri affidatigli.

ARBITRO-SOCIETÀ

A seconda di come si viene trattati in ciascuna palestra in cui ci si reca a svolgere il proprio compito si ha un ricordo più o meno buono. Da ciò ne deriva che le volte successive che si ritornerà nello stesso posto si avrà un certa predisposizione. È’ normale trovarsi bene in un posto più che un altro, ciascuno secondo l’esperienza fatta. Bisogna stare però attenti, come già detto, a non comportarsi come maleducati. Ci si presenta sempre con cortesia e si cerca di evitare di avere scontri, ignorando il più possibile personaggi sfrontati e attaccabrighe. Allo stesso modo, per neutralità, bisogna evitare di simpatizzare per una società più che un’altra sia lontano dai campi sia, soprattutto, sopra.

ARBITRO-FEDERAZIONE

Va detto che l’esperienza che una persona fa in un ambiente dipende in modo considerevole dai “superiori” e gli “anziani” che trova, dal loro carattere il loro modo di porsi ecc. Poi dal momento che matura anch’egli all’interno del gruppo i più giovani saranno relativamente influenti, è il più grande che prevale. Per l’arbitro parliamo in modo particolare dei designatori. Gli stessi la maggior parte delle volte svolgono anche funzioni di commissario e se responsabili del settore anche “istruttori”. Lì vediamo uno per volta.

Il designatore lo si incontra solo per ricevere le partite, una volta alla settimana solitamente, e poi non se ne sente più parlare. Gioca un ruolo fondamentale, da esso dipende il complessivo atteggiamento dell’arbitro nei confronti dell’istituzione. Infatti è lui che deve deplorare, sanzionare, valorizzare, gratificare, sperimentare. È lui che dispone regressioni, sospensioni, esordi, promozioni. Dev’essere globalmente razionale nel suo lavoro, nel senso che le designazioni devono poter essere raffrontate e considerate effettivamente coerenti con i soggetti in questione. Naturalmente il suo operato non può essere messo in discussione da nessun arbitro. L’arbitro nei suoi confronti è come il giocatore: non è sempre in grado di comprendere a pieno le scelte, però deve fidarsi della loro correttezza. Infatti ogni singola partita ricevuta è connessa a un disegno più grande e data tenendo sempre conto dei regolamenti CIA che disciplinano questo lavoro. Da tutto ciò si comprende quanto sia difficile esserne all’altezza e quindi ottenere una buona considerazione da parte dei subordinati.

Il commissario, quando non è la stessa persona anzidetta, è strettamente legato al designatore. Infatti il lavoro del commissario di per sé è fine a se stesso. Egli visiona nelle partite e stila il relativo rapporto. Il suo compito è quello di riassumere dall’osservazione pregi e difetti degli arbitri, nel suo rapporto ricapitola quanto di buono e di sbagliato c’è nell’arbitraggio personale e quindi dà i suoi consigli. Si può essere certi della sua presenta in tutte le finali e partite più di rilevo. Ma ciò che veramente lo investe di importanza è che le conseguenze nella carriera dipendono dalla figura che si fa ai suoi occhi. È lui che riferisce al designatore la situazione di ciascun arbitro e le partite che gli vengono assegnate vanno da sole. Per conoscere le capacità di un soggetto il designatore si basa solo ed esclusivamente di questa osservazione e quindi, per quanto estemporanea e breve possa essere, è fondamentale dare il massimo. Va detto sicuramente che si tiene in considerazione anche quanto viene riferito dagli allenatori, ma per fortuna fidarsi e bene e non fidarsi è meglio. Quand’è presente durante la partita se qualcosa va male si preoccupa di dare le dritte, ma la sua è una figura assolutamente esterna e non interviene in alcun modo nello svolgersi della gara. Si siede al centro del Tavolo degli ufficiali, supervisiona e sovrintende il lavoro degli arbitri e degli U.d.C. Ha quindi funzioni di controllo sull’operato dei giudici al tavolo riguardo referto, cronometro, fischi, 24°, si accerta che il tutto si svolga sempre con grande precisione e legalità. Redige ad ogni sua presenza un responso di valutazione sull’arbitraggio per intero, dall’inizio alla fine e in ogni parte tecnica. Non ha poteri sanzionatori nei confronti degli ufficiali durante il corso della gara, ma può far presenti i difetti con fine correttivo. Non può in alcun modo intromettersi nelle decisioni arbitrali, poiché rimane completamente esterno e spettatore all’evolversi della partita.

L’istruttore è molto simpatico a dirsi. Svolgono funzioni di istruttore degli arbitri, i responsabili locali del settore che alle riunioni tecniche e in altre occasioni informali danno tutte le indicazioni e fanno i dovuti moniti. Sono loro che si preoccupano di fare le ramanzine e allo stesso tempo di difendere gli arbitri all’esterno del gruppo. Ci sono, poi, anche quelli nazionali.

Il sistema nell’insieme, fra regolamenti e persone, che regola l’ambiente arbitrale del mondo dello sporto è marcio. Un sistema incoerente che non premia chi è meritevole di premi, perchè basandosi sul soggettivo giudizio della persona-commissario crea impropri favoreggiamenti, e che considera l’età più importante dell’anzianità e l’anzianità più importante della bravura. Inoltre non essendoci efficaci controlli è inevitabile il verificarsi di favoritismi. I corsi, poi, sono del tutto insufficienti come durata e impegno e non danno la necessaria preparazione. Ingiustamente inefficiente, nei confronti di chi lavora per guadagnarsi il pane e nei confronti delle società che si ritrovano arbitri da quattro soldi per match e campioni per briscole. Chi ci rimette sono proprio questi ultimi, gli arbitri lavorano a tradimento e a cottimo.

ARBITRO-PUBBLICO

Al pubblico potrebbe essere dedicato anche un capitolo a parte, se non un libro intero. Come già detto è un rebus per l’ottica sport, poiché le osservazioni che si dovrebbero fare su di esso appartengono a campi più medici, se solo uno psichiatra volesse interessarsi uscirebbero bei dossier. Nessuno mai si spinge a entrare nei dettagli, ma è fondamentale per capire che cosa può passare chi sta in campo, pur senza addentrarci negli aspetti socio-psicologici della massa.

E’ anch’esso una componente della partita, non indispensabile e presente in diversa quantità e qualità. È quasi sempre a composizione mista: vi si ritrovano genitori degli atleti, appassionati sportivi, tecnici e arbitri, altri giocatori interessati, amici dei presenti ecc. A seconda dell’importanza dell’incontro, della categoria, del luogo, della data e dell’orario viene determinata la quantità. Si possono trovare spalti semideserti oppure affollati con la calca e gente in piedi. Non è una componente indispensabile perché la partita si svolge regolarmente, se non meglio, anche senza.

Gli spettatori più esperti del mestiere, allenatori e via dicendo, sono solitamente i più silenziosi, perché vanno semplicemente per seguire una partita. Il loro interesse è quello di guardare il gioco per vedere sano sport e farsi un’idea da esprimere a fine partita. È comunque normale simpatizzare per una squadra e non riuscire a trattenersi in certe occasioni.

Dal punto di vista delle squadre il pubblico è un sostegno importante, perché la loro attività (il tifo), dà grande incoraggiamento, incitamento, ricompensa. Il tifo tiene vivi gli animi dei giocatori a cui è rivolto e anima l’atmosfera. Cosa diversa è il invece il clamore citato in precedenza. Questo sfogo di rabbia da parte degli spettatori genera cacofonia e surriscalda l’ambiente, deconcentrando e innervosendo arbitri e giocatori che sfasano. È un ottimo sistema per sfiatare la propria rabbia repressa, ma è controproducente verso gli stessi atleti che si vogliono tifare. Ma queste occasioni le abbiamo già descritte.

Per la società e la dirigenza, che a ogni partita si porta dietro un proprio pubblico, è un fattore di immagine emblematico e può farla apparire sia positivamente che negativamente, dipende anche da loro.

Dal punto di vista degli ufficiali di gara e di campo, che hanno il compito sempre più antipatico, raramente il pubblico può essere qualcosa di positivo. Già che non possono ricevere tifo, i complimenti sono rari a sentirsi. Il pubblico si esprime nei confronti dei giudici solo per far pesare i loro errori o apparenti errori. Infatti il pubblico semplice, quello meno sapiente e più accanito, urla per istinto contro tutto ciò che va contro la propria squadra. L’arbitro diventa l’oggetto di sfogo della propria rabbia repressa e l’atmosfera incandescente. Tutto ciò che non appare chiaro, sia fischiato che non fischiato, genera sospetto e nervosismo. Per questo tutto ciò che esce dalla bocca del pubblico non fa testo e non è degno di nessuna considerazione. Le aggressioni psicologiche che si subiscono sono violentissime e oltre a influenzare le reazioni psicosomatiche durante l’incontro lasciano segni anche a lungo termine. Un modo di porsi è quello indifferente: l’arbitro non è calcolato e non ci si interesse minimente della sua persona, il migliore. Un altro è lo sfottò: si ride della sua gestualità, del suo atteggiamento, quindi del suo ruolo. Un altro è l’aggressione: insulto libero e irrisioni, urla, gestacci, lancio di oggetti e quant’altro. Questa aggressione può essere una reazione di difesa, perché ci si vuole vendicare di quello che si ha subito dalla decisione arbitrale; oppure prendendo l’arbitro come capro espiatorio si riversa la frustrazione per errori propri su di esso. Tuttavia in gare meno sofferte capita che ci siano sviluppi diversi. L’arbitro non viene mai acclamato dal pubblico ma esistono lo stesso gli applausi per esprimere le congratulazioni per una valutazione difficile o più spesso per risposte a tono a giocatori e allenatori. Al pubblico dà sicurezza e piace un arbitro deciso che non si lascia calpestare i piedi.

Ci si rende quindi bene conto di come la prima cosa che fa perdere di sportività a un incontro è proprio il pubblico.

ARBITRI-U.d.C.

Niente a che vedere con quanto detto finora. E’ una collaborazione tecnica che dev’essere quanto più corretta e leale. Ufficiali di Campo sono dei validi assistenti e sono l’unica figura amica presente sul campo, per questo spetta agli arbitri tutelarli da panchine turbolente. Anche loro come l’arbitro tengono al rispetto delle regole e da parte loro fanno il possibile per salvaguardare l’integrità della gara.

Rapporti non matematiciultima modifica: 2020-04-23T16:08:03+02:00da sedda-co
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