“pascola le mie pecore”

è la volontà di Cristo, è il soffio dello Spirito Santo, che chiama la Chiesa a questa mutazione. Dobbiamo ravvisarvi il momento profetico, che passa nel Corpo mistico di Cristo, che è appunto la Chiesa, e che la scuote, la risveglia e la obbliga a rinnovare l’arte misteriosa della sua preghiera, con un intento, che costituisce, come è stato detto, l’altro motivo della riforma: associare in maniera più prossima ed efficace l’assemblea dei fedeli, essi pure rivestiti del ‘sacerdozio regale’, cioè dell’abilitazione alla conversazione soprannaturale con Dio, al rito ufficiale sia della Parola di Dio, sia del Sacrificio eucaristico, donde risulta composta la Messa [Paolo IV, Udienza generale del mercoledì, 26 novembre 1969]

Ma è a questo punto, che proprio questa mirabile e insopprimibile tensione pastorale, dopo aver sperimentato in un primo tempo i frutti di una efficace ed entusiasta partecipazione liturgica da parte del clero e del popolo, ha manifestato i sintomi di un male opposto, che si espresse con l’idolatria del linguaggio e della metodologia pastorale, l’oscuramento del contenuto oggettivo del mistero, la perdita dell’orientamento a Dio e la caduta del senso del sacro. Lo ‘sguardo pastorale ad homines’ divenne prevalente, anzi vibrante, insistente e quasi assillante. Essere in tal senso ‘pastorali’ a tutti i costi e a ogni prezzo significò disporre della cifra indispensabile per operare nel tessuto ecclesiale, per poter essere ascoltati, venir accettati e ritenuti ‘figli del Concilio’. Senonché questa immersione a tutto campo nella società degli uomini occupò a tal punto l’attenzione, la riflessione e le energie, da divenire totalizzante. In essa il mistero di Dio si stava ritirando e il silenzio su di Lui era gradualmente riempito dai clamori del quotidiano. Più che assicurare l’integrità dei misteri celebrati nei sacri riti, ci si preoccupava di parlare con efficacia e modernità a ogni categoria di uomini. Ne nacque una irrefrenabile corsa verso ogni situazione esistenziale e una ricerca quasi spasmodica di linguaggi diversificati e accattivanti per interessare e conquistare ogni variabile culturale. La forma dei riti dell’editio typica dei libri liturgici promulgati dall’autorità della Chiesa fu abbandonata e si teorizzò una sua permanente interpretazione e una sua necessaria rielaborazione alla luce dell’esperienza sempre fluida della cronaca quotidiana e della tipologia variegata delle categorie sociali. La liturgia fu ridotta a linguaggio e il linguaggio fu solo quello mutevole e flessibile della soggettività. I contenuti oggettivi e immutabili del Mistero creavano disagio e la protezione sacra del linguaggio della tradizione fu giudicata inadeguata. Sfuocato il mistero restava una pastorale priva di contenuto, che si risolveva in una metodologia fine a se stessa e che si rivolgeva all’uomo con la massima disponibilità ad ascoltarlo, senza offrirgli con altrettanto vigore la grazia per salvarlo.

[don Enrico Finotti, Vaticano II 50 anni dopo, Fede&Cultura, 2012, pp.302-303]

Quando il metodo diventa una dottrina, la dottrina diventa un metodo. La pastorale è stata elevata a dottrina in questi sessant’anni di esperienza conciliare. Perciò continuiamo a celebrare il Concilio come evento più che insegnamento, come spirito più che lettera. Un autoincensarsi mentre la Chiesa brucia. Il nuovo metodo è proprio questo. Conciliare diventa sinonimo di sinodale, sinodale sinonimo di Chiesa e Chiesa sinonimo di Concilio Vaticano II. Un cane che si morde la coda.

“pascola le mie pecore”ultima modifica: 2022-10-25T10:50:19+02:00da sedda-co
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