Compieta della domenica

Silenzio e penombra nella piccola chiesa del Seminario. Iube domne benedicere, canta il Lettore, con voce chiara; gli fa eco la benedizione del celebrante: Noctem quietam et finem perfectum concedat nobis Dominus omnipotens. Comincia nell’austerità, la preghiera della notte: non è più tempo di inutili panegirici, di vacui commenti. È l’ora, questa, dell’abbandono fiducioso nella braccia di Dio. Compieta: ultimo momento santificato della giornata.
Siamo agli avvertimenti della Scrittura, ricordati dalla Lectio Brevis: siate sobri, fratelli, vigilate, il diavolo vuole affossare la vostra vita. Coraggio, non cedete: avete la fede. Tu autem Domine miserere nobis: e tu, o Signore, facci sentire la tua presenza, la tua Grazia. Segue il Confiteor del celebrante, l’assoluzione del coro. I ruoli si scambiano, è il coro a recitare l’atto di contrizione, e il celebrante assolve: davvero qui è manifesto che la Chiesa è la grande famiglia di Dio, e ognuno è segno, per i fratelli, della misericordia del Padre. Poi, un’ultima invocazione, quasi un ultimo timore dell’orante prima di presentarsi all’Altissimo: …averte iram tuam a nobis, allontana la tua ira dal mondo, da noi, ira che i nostri peccati giustamente meriterebbero, e salvaci!
Cum invocarem exaudivi me Deus…, siamo transitati ora al centro della preghiera di Compieta, nel giorno del Signore. Quando l’ho invocato, Dio mi ha risposto: così il primo salmo, che narra la gratitudine del credente per i doni divini, e invita alla compunzione del cuore. Le tensioni, i diverbi, le asperità della giornata vengono ora riversate nel fiume perenne della preghiera della Chiesa: la pace interiore può rifluire, la rabbia sedarsi.
Già ci troviamo al salmo 90, secondo di Compieta: Qui habitat in adjutorium Altissimi, in protectione Dei caeli commorabitur. Se il latino di Girolamo pare un poco impervio, non così il contenuto: c’è un Dio, nei cieli, che si prende cura dell’uomo, che lo libera dai lacci del predatore e sempre accorre quando è invocato. Parole che come un balsamo discendono nell’anima, mentre fuori la notte avanza, e nell’intimo si affacciano paure inconfessate, angosce ataviche. La gioia torna, e il salmo 133 se ne fa espressione insuperata: Benedicite Dominum, omnes servi Domini, qui statis in domo Domini. Come può temere colui che abita nella casa del Signore, ossia permane nella sua luce, abbarbicandosi alla fedeltà divina più che alla propria, risibile forza?
Segue l’inno Te lucis ante terminum: prima che il giorno muoia, – recita la prima strofa – non abbandonarci o Signore. Procul recedant somnia et noctium phantasmata, allontana gli incubi dal nostro riposo, i pensieri cupi, gli assordanti ricordi – prosegue. Vi è cosa più straordinaria di questa, di chiedere cioè al Creatore del mondo di starci vicini nel sonno, proprio come un tempo, da fanciulli, lo chiedevamo a nostro padre o a nostra madre? La potenza della liturgia è tutta qui, nella certezza che l’uomo può liberamente essere ciò che è, per parlare con Dio.
Il Capitolo è un grido: ne derelinquas nos Domine Deus noster! Non vorrai anche tu lasciarci, o Signore, non vorrai abbandonarci come tutti i mercenari che abbiamo incontrato? Accanto a noi ti vogliamo, ti scegliamo come parte eletta della nostra vita, a te protendiamo le nostre braccia.
Ed ecco il Responsorio nel modo sesto gregoriano, caratteristico dell’infanzia spirituale, della semplicità: In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum. Le parole di Cristo in croce diventano così un atto di abbandono, il più perfetto, al disegno di Dio: ci si sente protetti, integralmente accolti.
Il versetto che segue riassume tutta la preghiera di Compieta: Custodi nos Domine ut pupillam oculi. Sub umbra alarum protege nos. Chiediamo di essere la pupilla degli occhi del Signore, cioè di essere tenuti in conto come cosa preziosa, di essere riparati all’ombra delle sue ali. Chiediamo cura, protezione, calore. Un luogo in cui saperci amati.
Si è al Cantico di Simeone. Quasi pare di vederlo, questo vecchio profeta, carico di anni e di esperienza, mentre incede nel tempio verso il piccolo Gesù, e prorompe di gioia nel riconoscere la Salvezza divenuta carne: Nunc dimittis servum tuum Domine, i miei giorni, Signore, si sono consumati nell’attesa del Messia, ho passato notti insonni nell’invocarne la comparsa… Ora posso morire in pace, palpita fra le mie mani la Luce delle genti, la gloria di Israele!

[Tamburini Samuele, Il fascino della Liturgia Tradizionale (Collana Quaderni Vol. 2), ed. Fede & Cultura]

 

Compieta della domenicaultima modifica: 2021-11-24T13:27:18+01:00da sedda-co
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