mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto (Gal 2,11)

Cardinale RAYMOND LEO BURKE, estratto della relazione esposta al convegno organizzato dall’associazione Amici del Cardinale Caffarra, tenutosi a Roma il 7 aprile 2018


burke_francis[…] Visto che la nozione della pienezza del potere contiene le suindicate limitazioni, come si giudicano e correggono le violazioni delle limitazioni?
Che cosa si dovrebbe fare, se il Romano Pontefice agisse in tale modo? L’Ostiense è chiaro nell’asserire che il Papa non è soggetto al giudizio umano: “Egli deve essere avvertito sull’errore delle sue azioni e perfino pubblicamente ammonito, ma non potrebbe essere chiamato in causa, se persistesse nella sua linea di condotta”. Secondo il celebre canonista [Watt], il Collegio dei Cardinali, anche se non condivide la pienezza del potere, “dovrebbbe agire come un controllo de facto contro l’errore papale”.
[…] Se, secondo la coscienza ben formata, un fedele ritenga che un particolare atto di esercizio della pienezza del potere sia peccaminoso e, di conseguenza, non riesca a essere in pace nella sua coscienza sulla questione, “il Papa deve essere, per dovere, disobbedito, e le conseguenze della disobbedienza, sofferte con pazienza cristiana”.

Il tempo non mi permette di esaminare più ampiamente la questione della correzione del Papa che abusasse della pienezza del potere annesso alla primazia della Sede di Pietro. Come molti sapranno, esiste una letteratura abbondate sul tema. Certamente il trattato De Romano Pontifice di San Roberto Bellarmino e altri studi classici vanno esaminati. Per il momento, basta affermare che, come dimostra la storia, è possibile che il Romano Pontefice, esercitando la pienezza del potere, possa cadere nell’eresia o nell’abbandono del suo primo dovere di salvaguardare e promuovere l’unità della fede, del culto e della disciplina. Siccome egli non può essere assoggetto a un processo giudiziale, secondo il primo canone sul foro competente del Codice di Diritto Canonico, “La prima Sede non è giudicata da nessuno” (Prima Sedes a nemine iudicatur), come si dovrebbe affrontare la questione?

Una breve e preliminare risposta, basata sul diritto naturale, sui Vangeli e sulla tradizione canonica, indicherebbe di procedere in due fasi: nella prima, la correzione del presunto errore o abbandono del suo dovere andrebbe rivolta direttamente al Romano Pontefice; e, poi, se egli continuasse a errare o non rispondesse, si dovrebbe procedere a una pubblica dichiarazione. Secondo il diritto naturale, la retta ragione richiede che gli individui siano governati secondo la regola del diritto (regula iuris) e, in caso contrario, prevede che essi possano ricorrere contro quelle azioni che violano lo stato di diritto. Cristo stesso insegna la via della correzione fraterna, che si applica a tutti i membri del Suo Corpo Mistico. Vediamo il Suo insegnamento incarnato nella correzione fraterna operata da San Paolo nei confronti di San Pietro, quando quest’ultimo non voleva riconoscere la libertà dei cristiani da certe regole rituali della fede giudaica. Finalmente, la tradizione canonica è riassunta nella norma del can. 212 del Codice di Diritto Canonico del 1983. Mentre la prima parte del canone in questione enuncia il dovere di osservare “con cristiana obbedienza ciò che i sacri Pastori, in quanto rappresentano Cristo, dichiarano come maestri della fede o dispongono come capi della Chiesa”, la terza parte dichiara il diritto e il dovere dei fedeli “di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa e di renderlo noto agli altri fedeli, salvo restando l’integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l’utilità comune e la dignità delle persone” (can. 212 § 3).
[…]

mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto (Gal 2,11)ultima modifica: 2021-06-07T21:05:19+02:00da sedda-co
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