cathedra veritatis

Qualche mese fa in una diretta trasmessa dalla pagina facebook della mia diocesi di appartenenza, uno dei convenuti salutava l’arcivescovo presente in videoconferenza, chiamandolo «servitore della Parola». Una bellissima espressione, altamente significativa. Memori di Paolo VI che volle titolare il Papa «servo dei servi di Dio», ricordiamo che perfino il vescovo di Roma nel suo ministero petrino, è “servo” come dice la stessa parola “minister” in latino. Il Sommo Pontefice non ha il compito di inventare una religione o aggiornarla al passo coi tempi; il successore di Pietro svolge un servizio alla verità, quale vicario di Dio in Terra. Quello del Romano Pontefice è un ministero vicario del Buon Pastore, l’unico buono e giusto (cfr. Mc 10,18; Lc 18,19).

Il Romano Pontefice è – come tutti i fedeli – sottomesso alla Parola di Dio, alla fede cattolica ed è garante dell’obbedienza della Chiesa e, in questo senso, servus servorum. Egli non decide secondo il proprio arbitrio, ma dà voce alla volontà del Signore, che parla all’uomo nella Scrittura vissuta e interpretata dalla Tradizione; in altri termini, la episkopè del Primato ha i limiti che procedono dalla legge divina e dall’inviolabile costituzione divina della Chiesa contenuta nella Rivelazione. Il Successore di Pietro è la roccia che, contro l’arbitrarietà e il conformismo, garantisce una rigorosa fedeltà alla Parola di Dio: ne segue anche il carattere martirologio del suo Primato.
[CDF, “Primato del Successo di Pietro nel Mistero della Chiesa”, Documenti (1966-2013), p. 481, n.7]

È interessante rileggere al riguardo il giuramento prestato per secoli e secoli dai Papi che salivano al soglio pontificio:

Io prometto: di non diminuire o cambiare niente di quanto trovai conservato dai miei probatissimi antecessori, e di non ammettere qualsiasi novità, ma di conservare e di venerare con fervore, come vero e loro discepolo successore, con tutte le mie forze e con ogni impegno, ciò che fu tramandato; di ementare tutto quanto emerga in contraddizione alla disciplina canonica, e di custodire i sacri Canoni e le Costituzioni Apostoliche dei nostri Pontefici, quali comandamenti Divini e Celesti, (essendo io) consapevole che dovrò rendere stretta ragione davanti al (Tuo) giudizio divino di tutto quello che professo; io che occupo il (Tuo) posto per divina degnazione e fungo come il tuo Vicario, assistito dalla Tua intercessione. Se pretendessi di agire diversamente, o di permettere che altri lo facciano, Tu non mi sari propizio in quel giorno tremendo del Divino Giudizio… Perciò, ci sottoponiamo al rigoroso interdetto dell’anatema, se mai qualcuno, o noi stessi, o un altro abbia la presunzione di introdurre qualsiasi novità in opposizione alla Tradizione Evangelica, o alla integrità della Fede e della Religione, tentando di cambiare qualcosa all’integrità della nostra Fede, o consentendo a chi pretendesse di farlo con ardore sacrilego
[Liber Diurnus Romanorum Pontificum]

L’aderenza alla Verità è il requisito che garantisce bontà e giustezza al magistero, ovvero la sua credibilità. Chi proferisce l’insegnamento veritiero è stimato come pastore credibile. Un insegnamento è ritenuto verace quando se ne riscontra nei fatti la sua utilità, in termini di bontà e di giustizia. È un’esperienza comune a tutti i credenti, inclusi i non-praticanti: i battezzati che trascurano la propria vita spirituale e sacramentale, nella loro esistenza comunque compiono delle scelte, orientate da certi valori e riferimenti morali. Le parole dei pastori posti da Dio a pascere il gregge, nell’agire dei fedeli passano al vaglio della realtà. Alla prova dei fatti si dimostra l’autorevolezza del magistero che, se verace, non teme la critica.

cathedra veritatisultima modifica: 2021-06-06T16:26:39+02:00da sedda-co
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