stupore del sacro

Studiando filosofia della conoscenza, in ambito teologico, ci si imbatte puntualmente in un aspetto particolarmente spinoso, riguardo alla possibilità di conoscenza di Dio. Infatti per la nostra teologia cristiana Dio si presenta ultimamente inconoscibile. Spiegare questo nodo comporta articolare bene il discorso, onde evitare di cadere nell’errore secondo cui non possiamo sapere niente di certo su Dio. Senza alcun dubbio possiamo stabilire degli attributi di Dio, che lo descrivono sostanzialmente, peró non completamente. Dire che “Dio è ultimamente inconoscibile” significa che non lo conosceremo mai del tutto, mai in pienezza e in tutta la sua profondità; non significa invece che non possiamo saperne niente di lui. Sebbene la ragione sia sufficiente per indagare le verità fondamentali di ordine naturale e abbia una funzione propria e indipendente – nello studio della realtà – da ogni autorità, tuttavia è incapace di penetrare da sola nei misteri di Dio. Per questo Dio è venuto incontro all’uomo rivelandosi, come volle codificare il Concilio Vaticano I: ci sono cose divine che con la nostra ragione possiamo comprendere solo nella misura in cui ci sono rivelate.

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Nella liturgia, momento apicale del nostro incontro con Dio, ritroviamo il legame d’influenza tra la spiritualità e il modo di pensare Dio. Nella liturgia antica la ragione rinunciava all’uso eccessivo delle parole, come purtroppo avviene nella prassi liturgica inaugurata dal Novus Ordo. Più cerchiamo di esprimere in parole umane realtà che non sono di questo mondo, più riscontriamo i limiti del linguaggio. Quante difformità semantiche si esprimono applicando a Dio immagini terrene… Alla lingua parlata rimane profondamente indicibile la natura divina. Nella Messa tradizionale la ragione invece fa appello ad altre dimensioni della comunicazione e, oltre alla parola pronunziata o cantata, dà spazio al silenzio, che è come l’atmosfera, impregnata di Spirito Santo, dal quale nascono il pensiero credente e la parola pregata. Una liturgia che ha tradotto l’antica funzione mistagogica in una pedagogia verbale e verbosa, moltiplica all’eccesso i messaggi rivolti agli oranti più che a Dio. Quanta fatica per la mente condurre una meditazione mentre si sentono tante e tante parole!

Al giorno d’oggi ogni chiesa che uffici regolarmente il culto divino deve dotarsi di adeguato impianto di amplificazione. Colonnine e console è una spesa in conto per ogni chiesa, altrimenti occorrono casse potenti e mixer. Talvolta si arriva a pensare che Dio ascolti meglio, tanto più si eleva l’intensità del suono (alzando il volume) e, non potendo offrirgli l’otorino, si parla più forte al microfono. Dimentichiamo così che l’esperienza sensibile degli accidenti, non esaurisce la realtà sostanziale che contengono. Dinnanzi alla maestà di Dio che abbaglia il nostro intelletto e lo eccede, non rimane che la partecipazione silenziosa ed adorante. L’oratio (preghiera, colloquio) è l’anima centrale di una partecipazione attiva, manifesta poi nelle azioni esteriori. È il silenzio mistico dello stupore e del senso inesprimibile, non quello del vuoto e del nulla. Deus honoratur silentio, scrive S. Tommaso nel Commento a Boezio: “Dio è onorato nel silenzio non nel senso che noi non possiamo dire alcunchè o che tutto ignoriamo di lui, ma perché ci rendiamo conto che noi siamo incapaci di comprenderlo” (q. 2, art.1, ad 6).

Sant’Ignazio di Antiochia, dei padri apostolici al principio del II secolo, probabilmente discepolo di San Giovanni apostolo, dichiara che Dio opera i suoi prodigi nel silenzio perché essi siano nascosti al demonio. Dio è presente in modo realissimo attraverso la consacrazione delle specie eucaristiche, quando nella Messa si rinnova in modo incruento il sacrificio del Calvario. Di fronte a un evento tanto sublime, al sacerdote e ai fedeli viene chiesto di coltivare un atteggiamento di intima e convinta adesione, di silenziosa adorazione, di umile accoglienza, di preghiera raccolta. La lingua latina, in quanto lingua sacra, si addice sommamente a esprimere quest’atmosfera.
Christine Mohrmann, la grande storica del latino dei cristiani, afferma che la lingua sacra è un modo specifico di “organizzare” l’esperienza religiosa. Infatti, ogni forma di credere nella realtà soprannaturale, nell’esistenza di un essere trascendente, conduce necessariamente all’adozione di una forma di lingua sacra nel culto, mentre solo un laicismo radicale porta a respingere ogni forma di essa. «Ciò che si trova nei sacramenti per istituzione umana non è necessario alla validità del sacramento, ma conferisce una certa solennità, utile nei sacramenti a eccitare la devozione e il rispetto in coloro che li ricevono» (Summa Theologiae III, 64, 2, Ed. Leonina). Del resto, quasi tutte le grandi religioni adottano una lingua diversa da quella dell’uso quotidiano per gli atti di culto. Lo ricordava anche il Cardinale Ranjith in un’intervista anni fa: 《L’uso di una lingua sacra è tradizione in tutto il mondo. Nell’Induismo la lingua di preghiera è il sanscrito, che non è più in uso. Nel Buddismo si usa il Pali, lingua che oggi solo i monaci buddisti studiano. Nell’Islam si impiega l’arabo del Corano. L’uso di una lingua sacra ci aiuta a vivere la sensazione dell’al-di-là》. Il latino introduce meglio al mistero, proprio perché lingua diversa dal resto della vita condotta all’infuori del culto, del momento in cui l’Altro per eccellenza si comunica sensibilmente a noi.

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Nella liturgia antica c’è pure un altro elemento che arricchisce la preghiera, al cospetto del mistero ultimamente insondabile. L’anima razionale è accesa dalle parole, il corpo dai gesti, lo sguardo dai simboli, ma la musica che col suono non esprime significati oggettivi come quelli del linguaggio verbale, coinvolge l’anima sensibile tramite l’udito. La musica che secondo IGMR ha la capacità di elevare potentemente l’anime a Dio, a detta di San Pio X ha pure la «capacità di accrescere il decoro e lo splendore delle cerimonie ecclesiastiche e di rivestire con “acconcia” melodia il testo liturgico sì da disporre l’anima dei fedeli a meglio accogliere i frutti della Grazia» (Tra le sollecitudini). Il ruolo della musica non è solo di accompagnamento della celebrazione, poiché favorisce l’actuosa partecipatio degli oranti quando si coinvolgono nel canto. Tra gli elementi materiali ed esteriori della liturgia, il suono della musica è l’unico elemento invisibile e immateriale, come lo Spirito divino.

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stupore del sacroultima modifica: 2021-02-05T16:08:06+01:00da seddaco
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