asinus in cathedra

Identificare tutti i nomi e cognomi dei padri nobili succedutesi in quasi tre secoli all’Oratorio di Palermo, comporterebbe accamparsi per un po’ all’archivio di Stato della Gancia. Nel momento in cui si raggiunse un numero di sodali rasente il centinaio, bisogna pur dire che non tutti era nobili, o almeno allo stesso grado di nobiltà. C’è una chiara gerarchia nel rango della famiglia di provenienza e, in Congregazione, la deferenza tra nobili si esprimeva democraticamente pure nelle nomine. Così nella carica di rettore della chiesa si ritrovano nomi tra i più illustri della nobiltà palerminata, almeno fino all’unità d’Italia… Nell’ambiente della casa non abitavano solo padri, c’era pure la servitù domestica. Tra i pertugi dei tetti, bassifondi di canonica, locali attigui a scuderia od officine, erano ospitati i mansionari addetti alle tante incombenze di portineria, cereria, stireria, lavanderia, cucina, cantina, sacrestia… Coloro che assistevano più da vicino i padri, erano scelti e venivano appositamente istruiti, per essere all’altezza per esempio di servire la Messa; alcuni elevati a “fratelli semplici”, come dei religiosi seppure senza voti né abito. Ma certo all’epoca nessuno si sarebbe mai sognato che costoro potessero divenire padri dell’Oratorio. Neanche nei peggiori incubi i padri di allora immaginavano un garzone che lasciava il refettorio per il pulpito, oppure il bidello addetto alle pulizie che iniziava a celebrare.
Erano già altri tempi quando Giuseppe Timpanaro il 30 gennaio 1932 scriveva al deputato Antonio Pecoraro, riguardo a un confratello contendente l’incarico di Palermo: «dico francamente che non ho sofferto tanto nel combattere il demonio in una ossessa a Cava dei Tirreni, quanto ho sofferto col Nanni, che ho trovato più subdolo e più falso di satana». Timpanaro esprime un giudizio piuttosto duro nei riguardi del confratello Cesare Nanni, col quale visse un periodo alla Vallicella. Timpanaro sappiamo essere il padre al quale si deve la riapertura di Palermo, da lui realizzata con sacrifici testimoniati da tutte le carte ancora conservate. In gergo povero diremmo che Timpanaro ha “buttato sangue” per il ripristino della Congregazione di Palermo e la ripresa dell’attività in Oratorio, in un periodo difficile come il fascismo e il secondo conflitto mondiale. Le fatiche tra casa, chiesa, villa filippina, oratorio, sono difficilmente riassumibili in poche parole, capaci quanto meno di esprimere la stanchezza fisica e mentale di chi si adopera. Alla luce della storia e quindi di ciò che si è dimostrato nei fatti, abbiamo motivo di ritenere che il giudizio di Timpanaro fosse quanto mai probabile e veritiero. Prendendolo pertanto per buono possiamo chiederci come sia possibile che un ministro ordinato possa essere «più subdolo e più falso di satana». L’onorevole Pecoraro leggendo la lettera di Timapanaro poteva chiedersi: chistu cuomo ci addiventuò parrinu? È stato a suo tempo erroneamente giudicato degno dell’ordine sacro, oppure dopo si è comportato in modo indegno della sua vocazione? Potrebbero essere entrambe le possibilità. In ogni caso ai cristiani non stupisce che nel mondo esista il male e che in certuni possa impersonarsi particolarmente bene. In seguito al peccato originale dei nostri progenitori, la coesistenza del bene e del male nel mondo – pur creato buono da Dio – è la normalità. I cristiani sono istruiti nel riconoscerlo, grazie alla sapienza eterna che gli viene dallo Spirito di Dio. I cristiani tanto più sono illuminati dallo Spirito Santo, tanto meno si lasciano trarre in inganno dal padre della menzogna. È quando ciò non avviene che ci si stupisce.

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asinus in cathedraultima modifica: 2021-01-17T21:03:21+01:00da seddaco
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