San Filippo e i “ricoverati con sintomi”

La peste arrivata in Europa dall’Asia si scatenò violentemente da metà del ‘300, per riemergere poi in diversi momenti con epidemie più o meno estese. Il cristianesimo pone di suo l’accento sulla carità, sicché la Chiesa medioevale diede impulso all’assistenza dei malati con la fondazione degli “hospitali”, organizzati come istituzione sanitaria e assistenziale. Il più importante ordine religioso furono da sempre gli Ospedalieri di San Giovanni di Dio (Fatebenfratelli), ai quali sovvennero le confraternite laicali e gli ordini militari cavallereschi. Negli ospizi od ospitali di allora la scienza medica era ancora in una fase piuttosto arcaica; l’ospedale si configurava come un’istituzione di carità con un carattere misto laico-religioso in cui esercitavano pure medici esterni. Sul finire del ’300, dopo l’infuriare della pestilenza in Europa furono introdotte pratiche di disinfezione pubblica e forme di “quarantena” per le navi provenienti da località infette. Nel 1423 fu aperto a Venezia il primo “lazzaretto” in cui isolare i malati infettivi. In epoca rinascimentale la politica del principe in materia assistenziale fece sorgere in città accanto agli enti elemosinieri e ospedalieri anche istituzioni complesse come gli ospedali generali (per es. nel 1456 l’Ospedale Maggiore di Milano). Il gran numero delle persone ricoverate all’interno di queste strutture provocava però più celere diffusione del contagio. Nel ’500 la fiducia nelle capacità terapeutiche dei medici non era certo aumentata, se Michel de Montaigne (1533-1592) parlando di loro sosteneva: “Sono dei privilegiati. I loro successi li vedono tutti e i loro errori sono coperti dalla terra”.

Il giovane Filippo Neri, giungendo a Roma da Montecassino, dopo aver trovato sistemazione dal fiorentino Galeotto Caccia come precettore dei figli, entra a far parte della “Confraternita della Carità” con sede di riferimento nella comunità presbiterale di San Girolamo della Carità al rione la Regola, dove abitava p. Persiano Rosa che dirigeva l’attività e divenne presto padre spirituale di Filippo Neri. La confraternita prestava servizio presso gli ospedali della Consolazione, San Giacomo degli incurabili, Santo Spirito in Sassia, San Giovanni all’isola Tiberina. Erano luoghi in cui prestava servizio anche la Compagnia del Divino Amore, di cui faceva parte San Gaetano da Thiene. L’opera della confraternita romana intanto raggiunse dimensioni tali da valergli nel 1548 il titolo di Compagnia, mutando denominazione in “Compagnia della SS. Trinità del sussidio”. In vista del grande giubileo dell’anno 1550 il Papa assegna alla compagnia la chiesa di San Salvatore in Campo, perché potesse avere una sede adeguata per l’accoglienza dei pellegrini, con refezione, pernotto, servizi igienici, dispensario medico… Si arriva così alla “Compagnia di SS. Trinità dei Pellegrini” che, terminato il giubileo, si insedia nella chiesa di San Benedetto alla Regola e aggiunge l’epiteto “dei convalescenti”, riprendendo il prodigo servizio degli infermi.

Ancora laico Filippo fece la conoscenza di un ex-soldato spagnolo che, infortunatosi a una gamba, a Roma predicava privatamente i suoi “esercizi spirituali”, recandosi al domicilio degli esercitanti. Come Sant’Ignazio di Loyola era soldato pure un altro giovane che p. Filippo incontra più tardi a San Giacomo degli incurabili. Tra gli infermi assistiti, diverrà padre spirituale di Camillo de’ Lellis. Fu proprio San Filippo ad illuminare San Camillo sulla sua vocazione specifica e indicargli a chiare lettere cosa il Signore voleva da lui. Una tale concentrazione di santità nella città eterna rende quell’epoca bella al ricordo, nonostante le molteplici criticità che pure la travagliavano.

Quattro anni prima di San Filippo, nel 1591, moriva a Roma contagiato dagli appestati che assisteva, il giovane San Luigi Gonzaga. Studente dei gesuiti, aveva solo 23 anni quando lavorava al fianco di San Camillo, durante l’epidemia di peste che in quindici mesi aveva steso tre Papi (Sisto V, Urbano VII, Gregorio XIV). Padre Filippo ormai anziano, non lo si vedeva più tanto in giro per Roma; a 76 anni proprio dal pontefice ebbe il permesso per celebrare privatamente in cappella alla Vallicella. Il Signore gli scansò le malattie, nonostante i malori fisici che patì nel 1595 sul letto di morte.

Alle sei ore incominciò egli a camminare per la camera; per la qual cosa destatomi (imperciocchè stava egli sopra ed io di sotto) andai tostamente, dubitando non gli fosse sopravenuto qualche nuovo accidente, a vedere che avesse, e trovandolo che sedeva sul letto con la gola sì piena di catarro, o di sangue, che meritamente si poteva temere che l’impeto loro non lo affogasse, il domandai come si sentisse, il quale rispose, e disse ch’egli moriva. (…) [da ANTONIO GALLONIO, Vita di San Filippo Neri, capp. XIX-XX, Ed. Alessandro Monaldi, Roma 1843, pp. 308-314]

San Filippo e i “ricoverati con sintomi”ultima modifica: 2020-11-07T16:59:59+01:00da seddaco
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