“San Filippo a Napoli” indicazioni ai lettori non-napoletani

9788864096896_0_0_626_75Nella presentazione del mio primo libro tenuta nella mia città di Cagliari, ho dovuto fare una premessa importante che non riguarda solo i lettori cagliaritani. Prendere in mano un libro che non si conosce e applicarsi a leggerlo o studiarlo, io credo richieda una buona dose d’interesse, oppure di affetto verso l’autore, o quanto meno una certa sensibilità letteraria. Ancor più quando il libro ha per oggetto una realtà non vicina e non familiare a chi legge… Il contenuto essenziale attorno al quale si sviluppa la mia riflessione è la ricostruzione e comprensione dei fatti inerenti la casa dei padri filippini a Napoli e le sue iniziali relazioni con la matrice romana. Non è un romanzo che narra una storia verosimile, si tratta di uno studio storico che mira alla ricostruzione dei fatti e alla comprensione del loro senso globale. È un dato storico che le case di Napoli e Roma entrarono in rotta fra loro e i padri romani arrivarono a osteggiare la filiale napoletana. Che cosa/come avvenne e perché? Quali le motivazioni di divergenza? È una tematica che incuriosisce i cristiani che amano leggere per cultura, per coltivare sapienza, come gli appassionati di storia della Chiesa, oltre ad interessare particolarmente noi oratoriani. Infatti il periodo iniziale di storia del nascente istituto filippino è il periodo fondante l’identità oratoriana: quando cioè il carisma del fondatore deve prendere forma in un modus vivendi, essendi, operandi, assimilabile da altri che sono chiamati a seguirne l’esempio. Se il carisma del fondatore viene da Dio, può stare certo che Dio stesso chiamerà altri a seguirne le orme.

Gli ambiti d’interesse di questo mio studio pubblicato con Fede&Cultura sono allora la storia della Chiesa per il contesto dell’epoca, la storiografia per le fonti attinte, la spiritualità per la comprensione profonda della mens del fondatore e le diverse posizioni dei protagonisti. Il corso storico descritto evidenzia aspetti giuridici per la fase costituente dell’Istituto che all’inizio dell’epoca moderna vede una certa democrazia, richiama la teologia della vita consacrata per la comprensione del confronto/scontro tra i padri romani e napoletani riguardo alla forma di vita, l’attività oratoriale promossa dal Neri si può considerare mediante la teologia pastorale, infine l’eredità storica che lascia l’epoca moderna rappresenta il punto dal quale prende il suo corso la nostra epoca contemporanea.

In Italia non tutti sanno che tale sito dei “girolamini” sia monumento nazionale dipendente dal Ministero, né tanto meno si sa che rappresenti la testimonianza materiale della storia trattata nel mio libro. Quel monumento che sorge su via Duomo, dinanzi alla cattedrale di Napoli, non è un sito archeologico, del quale vediamo le fondamenta e poi ci immaginiamo com’era, o se scaviamo troviamo qualche indizio… È un complesso ancora in piedi che racconta la sua storia. Conoscendola scopriamo quella che in filosofia della storia si chiama “storia degli effetti”: la storia appartenente al passato giunge fino a noi e in un certo qual modo continua ad essere presente attraverso i suoi effetti. Recandoci in quel luogo ammiriamo strutture materiali e opere d’arte, conoscendo il pensiero dei personaggi storici comprendiamo come ci siano schemi mentali e idee ancora valide e condivise che tutt’oggi crediamo e orientano il nostro agire. Possiamo perfino scoprire che ciò che siamo ora è il risultato del percorso svolto per arrivare al nostro presente.
Ci sono alcuni strumenti di ermeneutica che vengono fatti propri in filosofia della storia: coscienza della determinazione storica, linguaggio, distanza temporale e materiale… Sono concetti formulati da studiosi quali principalmente Gadamer, Dilthey, Pareyson. Ad essi si aggiungono altri nomi di pensatori coinvolti nel dibattito dello storicismo: Rickert, Spengler, Weber… Per lo più filosofi che espressero posizioni divergenti e non riconducibili a sintesi comune, se non per l’asserto che la storicità è la condizione dell’essere dell’uomo.

Noi posteri cerchiamo di interpretare la storia vissuta da altre persone prima di noi, cerchiamo il senso storico di un corso di eventi svolto da uomini che – dico io – agiscono con intenzionalità mossa da volontà collegata a un intelletto, ma condizionata da uno stato d’animo dato dal sentimento. Trattando la storia non abbiamo a ché fare con cifre, non è come uno studio di funzione matematica. La persona umana non è un robot, non agisce solo per freddo calcolo preimpostato, poiché viene facilmente deviata dai moti dell’animo, nel bene e nel male, contrari alla sua ragione. Con l’intelletto possiamo allora conoscere i fatti oggettivi per comprenderli poi nella loro interezza: la partecipazione ai sentimenti che animavano i protagonisti dà quel surplus di profondità che la ragione non coglie. Studiando teologia ho avuto un docente di storia della Chiesa – col quale ho fatto anche la tesi di baccellierato – che alle presentazioni dei suoi tanti libri aveva un problema: a sentire parlare di storia si commuoveva puntualmente fino alle lacrime. Così anziché parlare per ultimo, interveniva all’inizio prima di tutti gli altri relatori. Lo dico non per fare lo spot pubblicitario del libro di tipo emozionale. Piuttosto vediamo come la posizione di San Filippo rispetto all’impresa napoletana esprima questo aspetto: lui non motiva mai con argomenti, pare sospendere il giudizio, ovvero nega la sua benedizione, non esprime compiacenza e tuttavia non pone il suo veto, non impedisce che l’opera di fondazione a Napoli vada avanti. Questo poiché nonostante in cuor suo non approvasse l’iniziativa, attendeva di verificare se fosse cosa buona e rispondente a volontà di Dio. E che poi lo fosse lo dimostrano i frutti di bene portati alla cristianità locale. La fonte storica per eccellenza di Giovanni Marciano così attesta:

Nel giorno 25 di luglio dell’anno 86 del secolo antecedente era incominciato nella propria abitazione quell’esemplare convitto, se bene molto tempo prima era giunto il Tarugi in Napoli co’ suoi compagni, e haveano dato principio agli esercizi dell’Oratorio nel Duomo, come altrove si disse; poi coi sudori del Tarugi, di Giovenale Ancina, di Antonio Talpa, di Flaminio Ricci, e di tanti altri degnissimi operarii, (…) non solo si vide nell’ameno suolo della bella Partenope traspiantato da Roma l’Istituto: ma rigogliosamente germogliare, e crescere con felicissimo augumento. Fù unita per molto tempo alla Romana la Congregazione di Napoli, da cui si era diffusa in quella Città, non solo mentre il Santo Fondatore visse frà noi mortali: ma anco per alcuni anni dopo, che passò a convivere cogli Angeli.
Seguita intanto l’accennata divisione nel 1612, cominciò da quel punto il Superiore della Casa di Napoli ad usare il titolo di Preposito, essendosi fino ad allora chiamato Rettore (…). Continuò Iddio susseguentemente a proteggere, e custodire la casa di Napoli, e il Santo Padre dal Cielo ad impetrargli le sue benedittioni, onde è andata sempre crescendo, e augumentandosi fino a giungere allo stato, che adesso si trova così ragguardevole, come il mondo sa. (Cronache historiche, Libro I, Capo XV)

Se consideriamo la storia passata presentata nel libro un capitolo chiuso e ormai irrimediabilmente finito, abbiamo due possibilità: vivere di ricordi oppure vivere come neonati senza storia pregressa. Nel primo caso rinunciamo ad agire nel presente senza continuare il lavoro di chi ci ha preceduto, nel secondo caso rinunciamo all’identità contenente i valori che orientano l’agire. La scelta migliore è allora cogliere il senso profondo della storia vissuta dai predecessori, poiché è magistra vitae.

Se vogliamo seguire il consiglio di San Filippo, leggiamo i libri che iniziano con la “S”, leggiamo le biografie dei santi e i libri che parlano delle loro opere. Un po’ di impegno sul versante culturale darà beneficio anche al nostro spirito.

“San Filippo a Napoli” indicazioni ai lettori non-napoletaniultima modifica: 2020-01-05T21:13:39+01:00da sedda-co
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