a Deo rex, a rege lex

In liturgia c’è un tema particolarmente ignorato, d’importanza sufficiente alla produzione di volumi su volumi: il filo di Arianna che lega San Pio X alla riforma liturgica del Concilio Vaticano II. La dichiarata necessità di maggiore consapevolezza da parte dei fedeli, l’actuosa partecipatio ai riti sia nel canto che nelle acclamazioni, portò Pio XII a formulare nella Mediator Dei un concetto di partecipazione interiore degli oranti al mistero celebrato dai sacri ministri. Tale principio venne sviluppato da Giovanni XXIII, esplicitandolo come un’istanza da realizzarsi concretamente.
In seguito alla riforma liturgica del Concilio Vaticano II, immediatamente furono fatte concessioni a dei gruppi (p.e. la Fraternità Sacerdotale San Pietro) che, restando in seno alla Chiesa Cattolica e accettando il Concilio (a differenza dei lefebvriani), vollero continuare ad usare il rito antico. Il rifiuto o l’esclusione di fratelli fedeli alla Chiesa, sarebbe stata una grave offesa allo spirito di comunione. Sotto il pontificato di Giovanni Paolo II e poi anche con Benedetto XVI, sorsero degli Istituti di vita consacrata (SVA) che celebrano unicamente in vetus ordo, sotto la supervisione della commissione Ecclesia Dei (abolita da Papa Francesco).
Il percorso si è svolto nel tempo con continuità tra i pontefici, fino all’attuale brusca rottura che, mettendosi in controtendenza col cammino fino ad oggi svolto, rappresenta una regressione. Col Summorum Pontificum la Chiesa faceva ammenda del divieto di poter celebrare la Santa Messa nella forma usata per secoli. Oggi invece il Romano Pontefice dice di tollerare ancora l’esistenza di fedeli legati al rito antico, solo temporaneamente e per il progressivo passaggio alla liturgia bugnina: «quanti si sono radicati nella forma celebrativa precedente e hanno bisogno di tempo per ritornare al Rito Romano promulgato dai santi Paolo VI e Giovanni Paolo II».

Il Romano Pontefice non rappresenta qualche fazione, è il pastore universale di tutta la Chiesa di Dio, diffusa su tutta la Terra, casa di molti popoli di ogni lingua e cultura, nella quale tutti i credenti hanno diritto di cittadinanza. I riti congolese e zairese sono le dimostrazioni di come al giorno d’oggi abbia ragion d’essere la pluralità liturgica. Nelle stesse Facoltà ecclesiastiche dell’urbe si trovano seminaristi di ogni parte del mondo: ci sono europei che faticano ad accettare certe posizioni se risentono dei patri complessi di laicismo, ci sono gli africani che sono culturalmente estranei alla filosofia greca, ci sono i sudamericani che – malgrado occidentali – faticano a comprendere per deficit mentale. Papa Francesco non è l’unico uomo sulla faccia della Terra senza gusto per l’antico. L’ignoranza è un atteggiamento, io stesso sono cresciuto tra persone che ignorano la Tradizione della Chiesa e fondano la propria fede sulla sola Scriptura interpretata a modo loro. Queste persone – sono religiosi e ministri ordinati – apprezzano S.E. Mons. Mario Bergoglio quando lo vedono ripreso in certi video di Messe celebrate all’aperto in Argentina, mentre dietro le transenne distribuisce a tre a tre le particole consacrate che i fedeli si passano di mano in mano.

Nella ratio della norma promulgata ieri, c’è un punto in particolare che si presenta piuttosto illogico: «Il vescovo diocesano (…) avrà cura di non autorizzare la costituzione di nuovi gruppi». L’aumento della messe, la crescita dei fedeli, le anime che si avvicinano a Dio, non sono frutti dello Spirito Santo?

a Deo rex, a rege lexultima modifica: 2021-07-17T13:30:42+02:00da sedda-co
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