Jezu ufam tobie

Da un mese sto peggio e ad ogni colpo di tosse sento la decomposizione nei miei polmoni. Mi capita qualche volta di sentire che il mio cadavere va in totale decomposizione. È difficile esprimere quanto sia grande una simile sofferenza. Sebbene con la volontà io accetti ciò nel modo più deciso, tuttavia per la natura è una grande sofferenza, più grande che portare il cilicio e flagellarsi a sangue. Ne ho risentito maggiormente andando in refettorio, dove facevo grandi sforzi per mangiare qualcosa, dato che i cibi mi davano la nausea. In quel periodo han cominciato a prendermi anche dolori agli intestini; tutti i cibi più piccanti mi procuravano tremendi dolori, tanto che più di una notte mi sono divincolata fra spasmi lancinanti e lacrime a vantaggio dei peccatori. Ho chiesto però al confessore come dovevo comportarmi, se dovevo continuare a sopportare tutto ciò per i peccatori, oppure chiedere alla Superiora un’eccezione e cibi più leggeri. (Diario S. Faustina 30.XI.1937)

Così scriveva Suor Faustina nel suo diario spirituale quando il decorso della tubercolosi volgeva alla fase terminale che la portò a morire a trentatré anni. La sua madre superiora pretendeva che, con o senza appetito, nonostante l’infermità, fosse presente all’atto comunitario di pranzo e cena in refettorio. Data la malattia, avrebbe pur avuto diritto di consumare in camera da letto i pasti, invece Suor Faustina preferì obbedire alla superiora. Le parole della santa erano vere per lei, ma fanno riflettere tanto anche noi.
Le cosiddette monache “sepolte vive” – fino alle soppressioni religiose – non erano proprio ovunque diffuse; la rigida regola di vita ha sempre visto un numero contenuto, sicché si trovavano solo nei centri urbani a maggiore densità di claustrali. A Palermo nel 1629 si apriva il monastero delle Spose di Gesù morte-vive, freddo d’inverno e caldo d’estate, con digiuni, silenzio quotidiano, visite di familiari tre volte all’anno per un paio d’ore, varie angherie a piacimento della superiora. L’anno dopo il monastero si trasferì alle mura di San Vito, dove oggi sono i carabinieri; una monaca era della famiglia Graffeo che aveva lo ius patronato della cappella di Sant’Ignazio nella nostra chiesa.
Tanti soprusi che non era gradevoli neanche in passato, oggigiorno si classificherebbero senza esitazione come vessazioni. Potremmo allora chiederci cosa facessero le monache per reagire. Non si lamentavano con la gente? Non reclamavano attenzione all’esterno? Nessuna andò a sporgere denuncia per maltrattamenti o violenza domestica? Se non volevano dare scandalo, potevano quanto meno adire una Visita Apostolica… L’abc vocazionale ci dice che, per vocazione, si sopporti tutto. Continuando però a leggere il diario di Santa Faustina emerge pure come volle offrire le sue sofferenze in riparazione dei peccati e per la propria santificazione. Suor Faustina riuscì così a realizzare personalmente gli ammaestramenti spirituali ricevuti in precedenza:

Poi la Madre di Dio ha detto: «Ognuna di voi che persevererà nello zelo fino alla morte nella Mia Congregazione, eviterà il fuoco del purgatorio, e desidero che ciascuna si distingua per queste virtù: umiltà e mitezza, purezza e amor di Dio e del prossimo, compassione e Misericordia» (Diario S. Faustina 15.VIII.1937)

Jezu ufam tobieultima modifica: 2021-04-10T14:24:44+02:00da seddaco
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