…voi quando pregate dite così…

Una cosa è certa: in liturgia non era nella mens dei padri conciliari rigettare duemila anni di Tradizione. Due delle innovazioni liturgiche che la communis opinio attribuisce al Concilio, ovvero il Messale interamente in lingua corrente e l’Altare coram populo, non si trovano in alcun documento del Concilio Vaticano II. La Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium al n. 35 così recita: “L’uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini (…) Si conceda alla lingua nazionale una parte più ampia”, non la totalità. È dimostrabile storicamente che la riforma liturgica postconciliare, a causa dei condizionamenti molto forti ad intra e ad extra nei quali si trovarono a operare i “redattori”, non rimase aderente alla volontà dei padri conciliari.

– Mons. Albert Ranjith Patabenge Don, segretario della Congregazione del culto divino ha detto: Io credo che la riforma liturgica del Concilio Vaticano II non è mai decollata. […] Se uno si attiene al decreto “Sacrosanctum Concilium” del Vaticano II, lì si trattava di fare della liturgia la via di accesso alla fede, e i cambiamenti in materia dovevano emergere in maniera organica, tenendo conto della Tradizione, e non in maniera precipitosa. Vi sono state numerose derive, che hanno fatto perdere di vista il senso autentico della liturgia. […] E in questo senso si può parlare di una correzione necessaria, di una riforma nella riforma (cfr. La réforme Vatican II n’a jamais décollé, La Croix, 25 giugno 2006)
– Card. Alfons M. Stickler: Dobbiamo dire che [il Messale di Papa Paolo VI] è ‘la Messa della commissione liturgica postconciliare’. E un semplice sguardo alla costituzione del Vaticano II sulla liturgia ci dice che la volontà del Concilio e la volontà della commissione che ha fatto la riforma spesso non solo non coincidono, ma si oppongono in maniera evidente
– Card. Darío Castrillón Hoyos: in realtà il Concilio di per sé non aveva né chiesto né previsto i particolari di questi cambiamenti. La messa che celebravano i padri conciliari era la messa di san Pio V. Il Concilio non aveva chiesto la creazione di un nuovo rito, ma un maggiore uso della lingua vernacola e una maggiore partecipazione dei fedeli (rivista 30Giorni, Giugno 2007)
– Nel saggio, The Reform of the Roman Liturgy, Mons. Klaus Gamber giustamente scrive: Una cosa è certa, che il nuovo Ordo Missæ che ora viene presentato non è stato approvato dalla maggioranza dei Padri Conciliari [Klaus GAMBER, The Reform of the Roman Liturgy, Harrison, New York 1993, p. 61].
– Lo stesso Papa Giovanni XXIII, dopo aver indetto il Concilio e mentre erano in atto i lavori preparatori, promulgò un nuovo codice di rubriche del Messale Tridentino (editio 1962), perché era decisamente contrario alla celebrazione coram populo [Cfr. Marco Roncalli, Giovanni XXIII. Angelo Giuseppe Roncalli. Una vita nella storia, Mondatori, Milano 2006].

Il comune battezzato che va a Messa riceve il rituale romano come un dato acquisto e indiscutibile. Azzerando la coscienza critica si potrebbe pensare ai libri liturgici come divinamente rivelati; come dire che le Bibbie sono piovute dal cielo e Paolo VI è sceso dal Monte Olimpo col nuovo messale tra le mani. Non è andata proprio così e lo attestano le testimonianze dei personaggi che hanno vissuto quelle vicende. Oltre a loro, qualunque fedele dotato di smartphone, digitando “mons. Bugnini” nel motore di ricerca, può apprendere quanto non gli spiegheranno mai in nessun corso da uditore in Teologia. Wikipedia ci illumina d’immenso presentando colui che fu «principale ideatore e vero regista» della commissione liturgica incaricata di realizzare il “rinnovamento”. Fu ordinato vescovo da Paolo VI nel 1972 e, dallo stesso pontefice quattro anni dopo, inviato come nunzio apostolico in Iran, per allontanarlo da Roma quando si rinvenne la sua tessera al Gran d’Oriente d’Italia.

Un giovane teologo presente al Concilio, il migliore dell’ala progressista, col senno di poi così scriveva:
Ma quando la liturgia è qualcosa che ciascuno si fa da sé, allora non ci dona più quella che è la sua vera qualità: l’incontro con il mistero, che non è un nostro prodotto, ma la nostra origine e la sorgente della nostra vita. Per la vita della Chiesa è drammaticamente urgente un rinnovamento della coscienza liturgica, una riconciliazione liturgica, che torni a riconoscere l’unità della storia della liturgia e comprenda il Vaticano II non come rottura, ma come momento evolutivo. Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia, che talvolta viene addirittura concepita “etsi Deus non daretur”: come se in essa non importasse più se Dio c’è e se ci parla e ci ascolta. Ma se nella liturgia non appare più la comunione della fede, l’unità universale della Chiesa e della sua storia, il mistero del Cristo vivente, dov’è che la Chiesa appare ancora nella sua sostanza spirituale? Allora la comunità celebra solo se stessa, senza che ne valga la pena. E, dato che la comunità in se stessa non ha sussistenza, ma, in quanto unità, ha origine per la fede dal Signore stesso, diventa inevitabile in queste condizioni che si arrivi alla dissoluzione in partiti di ogni genere, alla contrapposizione partitica in una Chiesa che lacera.
[Joseph Ratzinger, La mia vita: ricordi, 1927-1977, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 1997, pp.110-113]

Sulla scia di questo messaggio di Papa Benedetto, si colloca il monito posto dai vescovi italiani nella presentazione al nuovo Messale. Essi invitano i pastori a studiare attentamente il testo per imparate “l’arte di evangelizzare e di celebrare” e richiamano ogni presbitero alla responsabilità e alla fedeltà al testo liturgico appena pubblicato affinché non ci si affranchi dall’autorità e dalla comunione con la Chiesa. Il principio della fedeltà «che si traduce in un vivo senso dell’obbedienza, impegna ciascun ministro a non togliere o aggiungere alcunché di propria iniziativa in materia liturgica». Difatti «la superficiale propensione a costruirsi una liturgia a propria misura, ignorando le norme liturgiche, non solo pregiudica la verità della celebrazione ma arreca una ferita alla comunione ecclesiale». L’oggetto deprecato è indubbio; però va spezzata una lancia in favore dell’intenzione buona di chi lo fa… Il novus ordo ha annullato la mistagogia per come era intesa nei secoli precedenti, in favore di una comunicazione verbale immediatamente comprensibile. Ciò ha comportato il moltiplicarsi infinito delle parole pregate e rivolte all’assemblea. Le traduzioni dei testi originali andavano in questo senso con l’aggiunta di monizioni ed esortazioni. E in questa direzione vanno i pastori più zelanti, che conosco le proprie pecore e quindi cambiano le parole della celebrazione in ragione di chi hanno davanti. Tanto nei riti di comunione, quanto all’orate fratres e l’atto penitenziale, la creatività liturgica trova le sue espressioni più brillanti. Come biasimare i sacerdoti che traducono il messale nei dialetti dell’Indocina o dell’Amazzonia? Quale criterio per non eccedere nella bontà di tale premura pastorale? Il primo e più elementare investe le finalità stesse della Messa: adorazione, espiazione, ringraziamento, intercessione; a questi potrebbero aggiungersi iterazione, riparazione, comunione, lode… c876e91147ae71367bc40997e7235bcdTutte azioni dell’uomo orante che esaltano Dio, sorgente di ogni grazia, dandogli onore con il culto. Quando il fine proprio della Messa viene ricercato da chi la celebra, è in buona fede. A tal proposito potremmo ad esempio chiederci: a che pro modificare l’epiclesi della preghiera eucaristica II? Non relativizza l’efficacia performativa di quelle parole? Se agli orecchi di Dio è indifferente sentire un’apposizione in più o in meno, l’unica motivazione è al lato umano. L’intento di rendere ancora più “comprensibile” la liturgia, mette in secondo piano il fatto che pure Dio debba capirla. La funzione pedagogica, una specie di antropologia, soppianta qualunque teologia. È l’uomo che viene messo al centro della liturgia, al posto di Dio. Era questo il timore espresso sopra da Papa Benedetto. È questo l’ultimo traguardo raggiunto dai modernisti.

…voi quando pregate dite così…ultima modifica: 2020-10-03T11:20:51+02:00da seddaco
Reposta per primo quest’articolo