auto(indi)gestione

Un articolo sulla cosidetta autogestione, scritto alle superiori.


Ogni anno scolastico poco tempo dopo l’inizio, torna a suonare secca e puntuale sempre la stessa parola: “autogestione”. I sentimenti che si provano all’udirla cambiano da una persona all’altra, chi prova sempre lo stesso sconcerto e amarezza, chi invece giubila ed esulta. Personalmente non la prendo mai felicemente e la considero un gravissimo ed ignorato problema. Ma tralasciando tutto quanto vediamo in concreto di che cosa si tratta, hanno scritto parecchio diversi studenti rappresentanti.

L’autogestione è lo svolgimento di attività didattiche ed extra-scolastiche, da parte degli studenti, in modo autonomo e senza la direzione e la vigilanza dei docenti. Non esistendo alcuna disciplina legale di questa iniziativa e in linea di massima non andando contro le norme, non può essere, per principio, considerata illegale. Perché si realizzi in un istituto si deve seguire un certo processo: presentata all’assemblea di istituto, illustrando ragioni e scopi, dopo un dibattito, la maggioranza relativa (50%+1 pres.) di essa deve esprimersi a favore; una volta approvata dall’assemblea, con una lettera al preside si rende nota la decisione; si procede quindi a strutturarla con una relativa organizzazione precedentemente pianificata. Di tutto questo si occuperanno naturalmente i rappresentanti d’istituto. Come, per un’autogestione ad oc, si occuperanno anche di predisporre l’intera organizzazione con un progetto ricco e partecipato, scritto nero su bianco, che descriva le funzioni del comitato organizzativo, dei gruppi di lavoro all’informazione, al rapporto con gli insegnanti, alla pulizia della scuola, alla coordinazione, il servizio d’ordine interno ed esterno. Molto importante è portare avanti l’autogestione in maniera democratica, infatti come all’inizio si vota e si redige il programma insieme, come il frutto di un lavoro assembleare e la raccolta di tutte le voci, anche durante è necessario svolgere delle riunioni con i rappresentanti per vedere quali sono i difetti da correggere e le eventuali nuove proposte che si aggiungono; per questo l’autogestione è vista anche come un percorso di autoformazione degli studenti. Un “percorso” perché si sviluppa in un arco temporale relativamente ampio, uno o due mesi, durante i quali si possono verificare diverse vicissitudini. Di “autoformazione” perché l’autonomia degli studenti che caratterizza l’intero svolgimento di tutta l’iniziativa fa la vera differenza: non essendoci un intervento costante degli insegnanti, dovendosi saper comportare da soli gli studenti maturano in esperienza, capacità di relazione, organizzativa e non solo. Infatti i docenti, non dovendo neanche vigilare, non possono restare nelle aule e devono allontanarsi lasciando liberi gli studenti, per questo è importante trattare con tatto i rapporti con essi ed evitare scontri e dissidi. Idem con gli ausiliari che si recano a scuola per offrire un servizio.

Bisogna fare molta attenzione ai luoghi comuni che vogliono confondere e criminalizzare l’autogestione facendola passare come un’occupazione. Com’è evidente la prospettiva è molto più rosea e si tratta di una cosa ben diversa dall’occupazione di luogo pubblico e dall’interruzione di pubblico servizio, sia nella sostanza oltre che burocraticamente strutturata e soprattutto divulgata. Fosse veramente un reato il Dirigente Scolastico avrebbe tutto il tempo per informare l’autorità civile e impedirne lo svolgimento anche con la forza, per di più poi non si occupa la scuola perchè l’ingresso rimane sempre libero. Inoltre l’autogestione, essendo svolgimento autonomo di attività didattiche, non può mai impedire a chi vuole di studiare e a tal fine ci si preoccupa di formare gruppi di studio in appositi spazi.

Quanto detto sinora è l’autogestione “in teoria”, ma come si dice è meglio la pratica della grammatica! Fra come dovrebbe essere e la sua realizzazione c’è un abisso profondo leghe. Diciamo pure che quanto detto sinora se non è un’utopia è per lo meno irrisorio. Non c’è bisogno di essere in mezzo ai meccanismi di una scuola per rendersi conto di come vanno le cose. L’auto-gestione è semplicemente auto-lesionistica perdita di tempo, in tutti i sensi. Si aspetta che passi l’inizio dell’anno e ci si approcci nuovamente con l’ambiente non per ringranare con lo studio, attività base e concetto essenziale della scuola, ma per darsi alla baldoria e la bisboccia dopo un’estate di riposo. E come mai sempre all’inizio dell’anno e non più tardi? Béh, ma perché forma un ottimo proseguo con le vacanze di Natale e poi perché proprio appena rientrati da un lungo periodo di inattività intellettuale anche il buon senso e la coscienza per la prospettiva futura si fanno sentire di meno. Anche la stagione può essere una buona motivazione, infatti d’inverno fa freddo e i termosifoni tiepidi sono una ragione accessoria sempreverde. Diremo almeno che negli anni ’70 c’era un attivismo anche sul piano ideologico e l’iniziativa era una vera e propria azione di lotta; spero non si risenta nessuno nel constatare che oggi non hanno più né arte né parte, fra termosifoni, ragni, bagni, topi e chi più ne ha più ne metta. Ciò che si consuma in classe davanti all’insegnante, fatta bambinaia, che non può allontanarsi per via del costante rischio di sollevamento di un pandemonio, è uno spettacolo degradante: giochi di società, gruppi di chicchera, gente che ascolta musica, persone scomposte con aspetti annoiati e tediosi… In un centro di Istruzione e luogo di educazione della gioventù che un domani andrà a immettersi nella società lavorativa com’è possibile che si consumi uno spettacolo così deplorevole? Dinanzi a un’insegnate stipendiata dallo Stato per lavorare come può succedere questo? Impedire il regolare svolgimento delle lezioni a mio avviso è un’interruzione di pubblico servizio, alla luce dell’evidente lacuna della legislazione scolastica e anche al di là del mancato intervento del preside. Lo stesso iter di realizzazione è campato per aria perché è una prassi ideata dagli studenti, non è descritto da nessuna parte e non coinvolgendo alcun organo collegiale dell’istituto, che viene semplicemente messo al corrente da una lettera, è tutt’altro che democratica. L’assemblea che si aduna, com’è classico, riunisce solo una piccola minoranza che esprime un voto scontato, senza che venga messa in discussione una sola riga. Raramente accade che la serietà dei rappresentanti d’istituto porti alla stesura di un programma sensato e condiviso e alla organizzazione di coordinatori e gruppi vari. Le motivazioni sono sempre le stesse è questo fa dell’autogestione uno slogan vuoto di contenuti. La durata di metà quadrimestre provoca dei danni irreparabili. Il blocco del programma che si attua con l’impedimento dello svolgimento delle lezioni, che poco preoccupa i cocciuti più dissennati, lascia delle lacune nella preparazione degli studenti in quelle parti di programma che non verranno svolte. Questo aspetto viene fin troppo sottovalutato, perché queste carenze della preparazione si ripercuotono reumaticamente a lunga distanza, oltre il termine del percorso di studi. I più convinti promotori dell’autogestione sono, infatti, sempre i più scadenti come profitto e si ritrovano sempre in difficoltà al momento di recuperare il tempo perso. Ciò ovviamente, sia per il tempo sia per la logica che si diffonde, non permette neanche di approfondire durante l’anno certi argomenti e quindi di generare interesse e passione per lo studio. Gli studenti si autoformano soltanto un rifiuto allo studio che viene visto in questa cuccagna chiaramente come un’imposizione. E il rapporto con i docenti, che si vedono calpestati e ridotti a babysitter, non può che essere scontroso e ostile. Nell’istituto con il riversamento negli anditi e nei cortili si produce un’atmosfera caotica e un disordine generale che sfugge a ogni controllo e che può portare a pericolosi imprevisti, che alcun servizio d’ordine può evitare: capitano incendi, atti vandalici, sconcezze, atteggiamenti sbandati come sbronze e altro, ingresso negl’Istituti di persone poco raccomandabili.

Dove avviene? A scuola. In un altro luogo pubblico un quadro del genere non è neanche lontanamente immaginabile. E in altre scuole d’oltre frontiera, quelle tedesche, inglesi, francesi, situazioni del genere non sono affatto ipotizzabili. Non solo perché non appartengono alla loro cultura e quindi non saltano in mente neanche agli studenti, ma perché verrebbero represse sul nascere. I dirigenti scolastici assistono inermi davanti ai disordini che si verificano, anziché reagire prontamente e prevenire l’autogestione prima ancora che se ne parli. Per non parlare, poi, dei provveditorati agli studi o le direzioni scolastiche regionali che si estraniano totalmente al caso, nonostante abbiano sulle spalle il peso della grande responsabilità di ciò che avviene. Pochi somari che per la loro svogliatezza e la loro negligenza nello studio, trascinano un istituto intero. Ma in una società civile, finché non si instaura un regime anarchico, si hanno dei doveri inderogabili ai quali nessuno si può sottrarre e fra questi c’è quello del rispetto. Chi vuole studiare dev’essere libero di farlo e chi non vuole non può impedirlo a nessuno, piuttosto deve lasciare un ambiente appositamente concepito per questa attività e recarsi altrove dov’è libero di fare veramente ciò che vuole. Per questo i docenti devono continuare a fare lezione, svolgere il programma didattico e interrogare a tempo debito quando si rientra a scuola…

auto(indi)gestioneultima modifica: 2020-02-14T14:18:30+01:00da sedda-co
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