In veritate liberi, in caritate servi, in omnibus laeti

Riflettere è ascoltare più forte

This is a general view of the central nave of Saint Peter's Basilica, transformed into the "hall" of the Roman Catholic Ecumenical Council, during the opening ceremony of the Council on Oct. 11, 1962 in Rome. All the Council Fathers have taken their seats in the stands erected left and right, while Pope altar, under Bernini's huge bronze canopy, is seen in far background. (AP Photo/Leslie Priest)

Il motu proprio Summorum Pontificum ha generato un fenomeno per molti sorprendente. Si tratta di un vero e proprio “segno dei tempi”: l’interesse che la forma straordinaria del rito romano suscita specie tra i giovani che non lo hanno mai sperimentato come forma ordinaria; manifestazione di una sete per “linguaggi” che non siano “la solita solfa”, ma che anzi invitano a nuovi e, per molti pastori, inattesi orizzonti. L’apertura del patrimonio liturgico della Chiesa a tutti i fedeli ha reso possibile a chi non le conosceva la scoperta di tutte le ricchezze di questo patrimonio; e proprio tra costoro vengono sollecitate, più che mai, numerose vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa, in tutto il mondo: gente disposta a donare la propria vita a servizio dell’evangelizzazione.

(card. Antonio Canizares Llovera già prefetto della Congregazione per il Culto Divino, in Peter Kwasniewski. Nobile bellezza, sublime santità: Perché la modernità ha bisogno della Messa tradizionale, trad. it.G.M.Olivari, ed. Fede&Cultura)

Gilbert Keith Chesterton aveva già fornito la risposta a una simile deriva: “Il cattolicesimo è l’unica cosa in grado di liberare l’uomo dalla degradante schiavitù di essere figlio del proprio tempo”. “Noi non vogliamo una Chiesa che si muove col mondo, come dicono i giornali. Noi vogliamo una Chiesa che muova il mondo”. Robert Speaight, che inizialmente supportò entusiasticamente il Concilio Vaticano II, echeggia G.K. Chesterton nella sobria considerazione della situazione della Chiesa nel 1970: Eravamo spinti dal desiderio di sacralizzare il mondo, non di secolarizzare la Chiesa. Può darsi che volessimo rendere l’altare più semplice, per quanto ci potessimo interessare di queste cose; certo non volevamo sostituirlo con una tavola da cucina. Il latino della Messa non solo era familiare, ma anche numinoso, e non avevamo alcun desiderio di barattarlo con una lingua moderna che ha giustificato le nostre peggiori paure. Non volevamo che i preti si vestissero come i parrocchiani – come neanche avremmo potuto volere che i giudici si vestissero come i giurati. Eravamo antimodernisti e forse, eccettuate questioni di estetica, antimodernes; eravamo radicali solo nel senso che volevamo scendere fino alle radici, non nel senso che volevamo estirparle. Ci preoccupavamo di preservare i valori di una civiltà antica piuttosto che intraprendere la costruzione di una nuova.

Riflettere è ascoltare più forteultima modifica: 2023-01-27T11:39:19+01:00da
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