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Caput mundi

ANDREA OPPO, “Roma come ‘idea’. Alcune riflessioni sul ‘La grande bellezza’ di Paolo Sorrentino”, in Notiziario Theologica, XXXI (giugno 2014) n.57, p. 15


Non è un film sull’Italia, è un film su Roma. Questa è la prima osservazione che viene da fare. Perché “Roma” è anzitutto un’idea: un concetto più antico, più ampio e più universale di quello di “Italia”. Ma di quale idea si tratta? Si parla di “bellezza”, come indicato nel titolo, ma la bellezza è per definizione concetto ambiguo (“Vienstu du ciel profond ou sors-tu de l’abîme, O Beauté?”, si chiedeva Baudelaire): è angelico ma è anche demoniaco. Dal film sono evidenti alcune cose: che quella bellezza è negli oggetti (nei monumenti, nelle mura, nelle statue, nei panorami), ma non nelle persone. Facendo eccezione per quelle che non ci sono più: le persone che si era un tempo (da giovani) oppure i bambini. È una bellezza assente, è il ricordo stesso della bellezza. https://www.youtube.com/watch?v=l0kg1VGRGMg

Di conseguenza, in un film che si intitola “La grande bellezza” si mostra precisamente l’opposto: si mostra cos’è il brutto. Quello, sì, lo si vede molto bene. Gli esseri umani sono brutti, caotici, eccessivi ma di un eccesso che è stonatura a tutti gli effetti. Sono abbruttiti, eppure quell’abbruttimento è voluto e ha un senso. Lo ammette il protagonista in un unico quanto prezioso momento di autocoscienza, verso la fine del film. Spiega il perché di quel caos, di quel vizio e di quell’abbruttimento: «Non ce l’abbiamo fatta – dice – e per evitare la vergogna, per evitare di ammetterlo a noi stessi, ci comportiamo così». In questo modo ci si distrae, si riesce a sopravvivere. Chi non lo fa, fatalmente muore o se ne deve andare. Il peso di quella bellezza non si regge. Il turista giapponese scatta una foto dal Gianicolo e muore. Il ragazzo che legge Proust e cerca una verità nel passato, e così prova a evitare la visione orgiastica delle cose, muore anch’egli, suicida. L’amico del protagonista, una volta che ha messo in scena un suo testo poetico, sincero e autentico, deve abbandonare Roma per sempre e tornare al suo paese in campagna. Chi si tira fuori da quel marasma, in qualche misura non ce la fa. Se non «si fa festa» ci si ammala. https://www.youtube.com/watch?v=9FbKkWz-lVg

Ma la festa più che un momento dionisiaco liberante si mostra come un’immagine terminale e degradata. Eppure a Roma, nell’“idea-Roma” rappresentata nel film, sembra che più caos si aggiunga più la struttura si regga. Non è consentita verità o purezza in un mondo simile: la bambina che prova a essere bambina, a fare giochi normali e andare a letto presto la sera, viene obbligata dal padre e dagli adulti a far tardi la notte in una delle loro feste e dipingere un quadro con secchi di vernice, creando un’opera sporca e caotica. Nel miscuglio, nel kitsch, negli abbinamenti inappropriati vi è invece la salvezza della distrazione, del non guardare in faccia la propria verità, e dunque dell’evitare temporaneamente la morte. Tolta la coscienza, «la vita è solo un trucco» ammette infine il protagonista. Ma la coscienza non si riesce a tollerare, come si è visto. I puri muoiono prima; i pacchiani e gli sguaiati sopravvivono un po’ di più. Questa sembra essere la lezione nichilista del film. https://www.youtube.com/watch?v=vdzIiPu0HCU

In tutto ciò, molti hanno voluto vedere un ritratto dell’Italia di oggi. Ma forse non è esattamente così. Come detto, è più probabilmente un ritratto di Roma: Roma come idea universale, un’idea antica quanto l’umanità; un’idea che non è logos, non è grecità, non è Oriente e non è neanche cristianità. È piuttosto un certo tipo di paganità dello spirito: se è religione, lo è alla maniera degli antichi romani, priva di trascendente, quasi un “rito per il rito”; se è filosofia, è pragmatica, a-logica e orientata alla vita come lo era quella dei latini. È una visione delle cose alla luce del distacco da queste: di un certo atteggiamento di superiorità che irride e di una leggerezza tutta particolare, che ritarda meglio che può la propria morte. https://www.youtube.com/watch?v=wMjovG2PqZM

Si è detto che quest’opera ha una forte ispirazione felliniana, e questo è certamente vero. Fellini fece un innesto, fecondissimo, tra la sua Romagna e Roma, dando vita a un immaginario universale. Quella fantasia pare essere raccolta da Sorrentino, che è però napoletano. E qui l’innesto non avviene con la stessa naturalezza. Qui, a differenza di Fellini, vi è uno sguardo più distanziato. Perché Napoli non è Roma: si tratta di due anime culturali ben distinte. Lo sguardo del regista è amaro, e sembra identificarsi decisamente con quelli che non ce l’hanno fatta, con tutto ciò che non si fa assorbire da questa idea. https://www.youtube.com/watch?v=uxh3or6zLvE

Caput mundiultima modifica: 2020-02-06T15:12:25+01:00da
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