Il “Sinodo sulla Sinodalità è ormai alle porte ma la maggior parte delle persone non ha ben chiaro l’impatto che questo potrebbe avere su tutta la Chiesa universale.
Un ottimo libro sull’argomento è quello pubblicato da “Tradizione Patria e Famiglia”: Processo Sinodale – Un vaso di Pandora, che analizza il sinodo attraverso domande e risposte e di cui di seguito lasciamo un piccolo estratto.
A leggere i documenti preparatori una cosa salta subito all’occhio: l’abbondanza di termini buonisti ma allo stesso tempo ambigui usati all’interno di questi.
Una delle parole più utilizzate, quasi alla nausea, è la parola “inclusione”, termine che non si è mai trovato all’interno dei documenti magistrali e che invece appare per la prima volta nei documenti successivi al Concilio Vaticano II.
Ecco il passo tratto dal libro – Cosa c’è dietro la proposta di “inclusione”?
Gavin Ashenden, ex cappellano della Regina Elisabetta II, convertito al cattolicesimo, ora vicedirettore del noto quotidiano Catholic Herald di Londra, ha denunciato il documento preparatorio del Sinodo come un cavallo di Troia che cerca di manipolare le menti delle persone giocando con “parole talismano’ come “diversità”, “inclusione” e “uguaglianza”.
Scrive Ashenden: «Il trucco è molto semplice. Si tratta di utilizzare una parola che a prima vista sembra molto attraente, ma che contiene una sfumatura nascosta, in modo che finisca per avere un significato diverso, forse addirittura opposto».
Con grande acutezza, Ashenden continua: «Il documento si intitola Allarga lo spazio della tua tenda (da Isaia 54,2). L’idea centrale che si propone di attuare è quella dell'”inclusione radicale”. La tenda è presentata come un luogo di inclusione radicale da cui nessuno è escluso, e questa idea funge da chiave ermeneutica per interpretare l’intero documento.
«Il trucco delle parole è facilmente spiegabile. L’associazione con l’essere esclusi è non essere amati. Poiché Dio è amore, ovviamente non vuole che qualcuno sperimenti di non essere amato, e quindi escluso; ergo Dio, che è amore, deve essere favorevole all’inclusione radicale.
Di conseguenza, il linguaggio dell’inferno e del giudizio nel Nuovo Testamento andrebbe visto come una sorta di iperbole aberrante che non va presa sul serio, perché l’idea di Dio come amore inclusivo ha la precedenza. E poiché questi due concetti sono in contraddizione fra loro, uno dei due deve sparire. L’inclusione rimane, il giudizio e l’inferno vanno via. Che è un altro modo per dire Gesù va via e Marx resta.