Con la fine – speriamo – delle vicende giudiziarie, si sono avute boccate d’aria di respiro sempre più ampio e piani di recupero sempre più lauti. Oggi la biblioteca ha degli uffici funzionanti con personale statale preposto, una programmazione di eventi culturali e aperture alle visite guidate, una scuola di alta formazione gestita dall’università e sono in corso i cantieri di restauro.
Pare che si sia fatta un po’ di strada negli ultimi dieci anni, se ricordiamo che l’unica attenzione prestata dal ministro Galan alle biblioteche statali fu quando dispose il provvedimento di taglio dei fondi pubblici ad esse destinati; all’ora sicuramente in risposta alle richieste di soldi che premevano dagli uffici periferici, manifestamente richiamate in quel “surreale” ritrovo dei direttori delle biblioteche. Per barbara o incivile che possa sembrare l’idea, può esistere pure una politica che considera inutili centri di costo i beni culturali che non incrementano il prodotto interno lordo della nazione. E attenzione che tale politica rispecchia un certo pensiero materialista diffuso a livello di infima sottocultura economica. Se così considerati, perché spendere per essi? Se inutilmente onerosi, buona amministrazione vuole che si taglino; ma l’errore è proprio di valutazione: sono realmente beni inutili?
L’arte cristiana cerca di comunicare che “la bellezza salverà il mondo” ed essa prende forma visibile e materiale. I pittori di magnifiche tele, gli scultori di pregevoli statue, gli stuccatori di meravigliose decorazioni, i marmisti che intarsiavano gli altari, i cesellatori dei vasi sacri, i tornitori degli antichi e maestosi candelabri, ci hanno lasciato preziose eredità che possiamo chiederci se abbiano esaurito la loro funzione e siano ormai solo pezzi da museo. Ciò che rimane ai nostri giorni sono reperti attestanti una realtà passata che non ha più niente da dare oggi? Un patrimonio di valore umano incapace di produrre ancora nuova cultura? Una bellezza ormai inutile?
(C.S., “San Filippo a Napoli”, Ed. Fede&Cultura, Verona 2019, pp. 258-259)
Se proviamo a prendere in considerazione l’utilità dei libri, diremmo quanto meno che sono fatti per essere letti e non per restare chiusi sotto chiave. La lettura fa apprendere un contenuto utile in funzione di ciò che si cerca e stimola quindi alla produzione di altri risultati. È un’idea piuttosto cartesiana nella sua semplicità. Ora se proviamo a pensare una biblioteca dove per richiamare l’attenzione del pubblico, si progetti la realizzazione per esempio di un bistrò (tavola calda lounge self-service), per cercare la funzione del ristobar in ragione dei libri il filo logico suddetto verrebbe piuttosto ad attorcigliarsi.
Nello stranissimo e increscioso affare dei Girolamini, la giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli ha riconosciuto – oltre alle impronte digitali di un malato di Libri – gli indizi di colpevolezza di un sistema.
(Sergio Luzzato, “Max Fox”, Einaudi, Torino 2019, p. 223)
Nelle conclusioni di San Filippo a Napoli rimestavo un po’ di storia dell’Italia post-unitaria, ricordando che con l’eversione dell’asse ecclesiastico (1866), lo Stato italiano subentrò – per così dire – nella titolarità del patrimonio degli Istituti religiosi, assumendosi una grande responsabilità anche per il suo mantenimento. Quando agli istituti religiosi fu concesso di tornare ad abitare le proprie case (1895) si trovarono depauperati di tutte le risorse economiche con le quale costruirono e mantennero i complessi edificati. Ogni luogo ha la sua storia e, dove possibile, il riscatto dei beni risanò in parte il danno. Per il resto il nuovo proprietario dei beni (lo Stato italiano) si è fatto carico degli oneri.
Detto in soldoni lo comprende un bambino che alla Congregazione depauperata del patrimonio originario mancano le risorse finanziarie per far fronte alle spese, prima che mantenere i suoi membri. I redditi da lavoro dei padri possono campare sé stessi, ma non sono sufficienti per sovvenire alle spese della struttura più grande di loro. E anche se consideriamo solo la chiesa, facciamo conto che se ufficiata ha spese di culto, ma solo per essere aperta ha costi per la pulizia, i consumi (luce, acqua, telefono), la polizza di assicurazione, impianto audio, manutenzione interna ed esterna. La Congregazione ci provò a riaprire il complesso, ma ad essa non fu dato il trattamento di altri monumenti nazionali dove lo Stato non fa pagare niente ai custodi, o luoghi – come Montecassino – dove al fulminarsi di una lampadina l’Enel provvede alla sostituzione inviando l’elettricista in monastero.

Festeggiamenti per San Filippo
Il sunto del mio libro che ho suggerito all’editore per la quarta di copertina (anche se poi non gli è piaciuto e ne ha scritto un altro) è stato il seguente:
L’Oratorio di San Filippo Neri tra le fioriture dell’epoca tridentina, è una delle più emblematiche per l’età moderna. Dalla città eterna si diffuse ben presto nel resto d’Italia, vedendo nella capitale partenopea la storica fondazione dell’Oratorio, oggi noto come Monumento Nazionale dei Girolamini. L’impresa che fu avviata senza il beneplacito di San Filippo e portata avanti nonostante la sua riluttanza, segnò un importante capitolo nell’iniziale storia della Congregazione dell’Oratorio. (…)
I cristiani, con sguardo soprannaturale sulla realtà, sanno che la lungimiranza dei santi viene dall’alto ed è voce profetica. San Filippo non impedì la fondazione, perché non si nega storicamente il beneficio apportato dall’Oratorio napoletano alla cristianità locale, ma a quale prezzo oggi?